XCVIII
Dice ch'Amore è cagione de la incostanza de le sue passioni.
Queste hor cortesi et amorose lodi
De la mia Donna, hor duri aspri lamenti,
Mie voci no, ma son d'Amore accenti:
4Dunque incolpane Amor, o tu che l'odi.
Amor, che molti gira in vari modi
A la vita serena aversi venti,
Tra gli occhi miei bramosi e i suoi lucenti,
8Mesce brame e temenze, e sdegni et odi.
Per questi che 'l mio cor ne' suoi sospiri
Sparge quasi vapori un sol turbato,
11Veggio ne l'aria del bel viso oscura.
E chiamo instabil lei, cangiand'io stato,
E la chiamo ver me spietata e dura
14Ove molle e pietosa altrui rimiri.
- 1a. «Queste hor cortesi»: haveva parlato de la costanza propria in quel sonetto «Mentre soggetto al tuo spietato regno», il et in quell'altro «Mentre al tuo giogo io mi sottrassi, Amore». Hora parla de la costanza de la sua Donna, la quale in alcun luogo haveva descritta incostante, assegnando tutta la incostanza ad Amore, com'a sua cagione. E si dee intendere de l'amor sensuale, il quale è sempre accompagnato da varie passioni che perturbano la tranquillità de la ragione.
- 9-10a. «Per questi che 'l mio cor ne' suoi sospiri | Sparge quasi vapor»: prima ha assomigliato la sua Donna al sole, hora fa la medesima similitudine, ma paragona le passioni che sono commosse da la sua bellezza a' vapori, i quali elevandosi impediscono la serena vista del sole.
- 12. «E chiamo instabil lei, cangiand'io stato»: l'incostanza non è ne l'obietto, ma ne gli affetti del Poeta. Questa nondimeno è imitatione di DANTE, il qual dice che gli huomini chiamano la stella tenebrosa quando è turbato l'aere, ch'è il mezo de la nostra vista.