XXXIV
Invitato da la sua Donna a tenerle lo specchio, descrive quell'atto poeticamente.
A' servigi d'Amor ministro eletto,
Lucido specchio anzi il mio Sol reggea,
E lo specchio in tanto a le mie luci io fea
4D'altro più chiaro e più gradito oggetto.
Ella, al candido viso et al bel petto,
Vaga di sua beltà, gli occhi volgea,
E le dolci arme, hor che di morte è rea,
8D'affinar contra me prendea diletto.
Poi, come terse fiammeggiar le vide,
Ver me girolle, e dal sereno ciglio
11Al cor voltò più d'un pungente strale.
Ma non previdi all'hor tanto periglio.
Hor, se Madonna a' suoi ministri è tale,
14Quai fian le piaghe, onde i rubelli ancide?
- 2b. «anzi il mio Sole»: cioè avanti a la sua Donna, ch'egli chiama «sole»; et «anzi» per inanzi in questo luogo è parola accorciata, o figura detta apheresis. Così disse il PETRARCA: «C'hor per lodi anzi Dio preghi mi rende»; e altrove: «E trema anzi la tomba».
- 3. «E specchio in tanto a le mie luci io fea»: in cambio di «facea», per accorciamento usato da PETRARCA in molti luoghi, e particolarmente in quello: «E tremar mi fea dentro a quella pietra». Nondimeno perchè questa parola non è usata in rima dal Petrarca, altrimenti si legge: «E dolce specchio in tanto a me facea».
- 7a. «E le dolci arme»: intende de l'armi de la bellezza e d'Amore, com'intese il PETRARCA in que' versi: «A le pungenti, ardenti e lucid'arme, | Contra cui in campo perde | Giove et Apollo, e Polifemo e Marte». E più chiaramente altrove: «L'arme tue furon gli occhi onde l'accese | Saette uscivan d'invisibil foco».
- 7b. «hor che di morte è rea»: è detto ad imitatione di quel verso del medesimo autore: «Benchè la somma di mia morte è rea». Ma il Poeta chiama «rea di morte» la bellezza, il Petrarca la castità, com'è opinione de gl'interpreti. Potrebbe nondimeno il Petrarca anchora significar la bellezza, imperochè la somma virtù è la bellezza, come disse EURIPIDE.