LXVI
Dice de quando egli sarà vecchio, non resterà d'amare e di celebrar la sua Donna.
Quando vedrò nel verno il crine sparso
Haver di neve e di pruina algente,
E 'l seren del mio giorno, hor sì lucente,
4Co 'l fior de gli anni miei fuggito e sparso,
Al tuo bel nome io non sarò più scarso
De le mie lodi, o de l'affetto ardente;
Nè fian dal gelo intepidite o spente
8Quelle fiamme amorose, ond'io son arso.
Ma se rassembro augel palustre e roco,
Cigno parrò lungo il tuo nobil fiume,
11C'habbia l'hore di morte homai vicine.
E quasi fiamma, che vigore e lume
Ne l'estremo riprenda inanzi al fine,
14Risplenderà più chiaro il vivo foco.
- 1a. «Quando vedrò nel verno» per «verno» intende la vecchiezza, come intese Monsignor DE LA CASA de la sua vecchiaia, quando egli disse: «E questa al foco tuo contraria bruma».
- 1b-2. «il crine sparso | Haver di neve e di pruina algente»: dice metaforicamente quel ch'il PETRARCA havea detto allegoricamente: «Già su per l'alpi neva d'ogn'intorno».
- 3a. «E 'l seren del mio giorno»: la pace e la tranquillità del suo stato perduta con la sua giovinezza: e questo dice quasi certo, e tristo indovino de' suoi danni.
- 7. «Nè fian dal gelo intepidite o spente»: dal freddo de la vecchiezza. Non molto diversamente disse VIRGILIO: «Sed enim gelidus tardante senecta sanguis hebet».
- 10. «Cigno parrò lungo il tuo nobil fiume, | Che già l'hore di morte habbia vicine»: imita OVIDIO, che nell'epistola di Didone disse: «Sic ubi fata vocant, udis abiectus in herbis | Ad vada Maeandri concinit albus olor» etc.
- 12. «E quasi fiamma, che vigore e lume»: a la comparatione del cigno, il qual vicino a la morte canta più dolcemente, aggiunge quella de la candela, ch'inanzi al suo fine par che mostri maggior lume.