CXL
Dice che la sua Donna fa miracolosi effetti con la sua presenza e con lo star lontana ne la città e ne la villa similmente.
Hor, che l'aura mia dolce altrove spira
Fra selve e campi, ahi ben di ferro ha 'l core
Chi riman qui solingo, ove d'horrore
4È cieca valle, di miseria e d'ira.
Qui nessun raggio di beltà si mira:
Rustico è fatto, e co' bifolci Amore
Pasce gli armenti, e 'n su l'estivo ardore
8Hor tratta il rastro, et hor la falce aggira.
O fortunata selva, o liete piagge
Ove le fere, ove le piante e i sassi
11Appreso han di valor senso e costume.
Hor, che far non potria quel dolce lume,
Se fa, dond'egli parte, ov'egli stassi,
14Civili i boschi e le città selvagge?
- 1a. «Hor, che l'aura mia dolce»: cioè la mia Donna, la qual per traslatione chiama «aura» sua «dolce».
- 2b. «ahi ben di ferro ha il core»: è imitatione di que' leggiadrissimi versi di TIBULLO: «Rura tenent Cornute meam, villaeque puellam. | Ferreus est heu quisquis in urbe manet. | Ipsa Venus latos iam nunc migravit in agros | Verbaque Aratoris rustica discit Amor». Ma il Poeta usa insieme il luogo de' congiunti, perchè pascendo gli armenti, i bifolci sogliono cantar mandriali et altre compositioni sì fatte.
- 9. «O fortunata selva, o liete piagge»: cioè per la sua presenza, la qual fa queste meraviglie simili a quelle: «Raccogliete voi piagge i miei desiri, | e tu sasso che spiri | Dolcezza et versi amor d'ogni pendice».
- 12. «Civili i boschi e le città selvagge»: figura ne la quale il predicato implica contraddittione al soggetto, vaghissimamente usata da' nostri poeti.