XCVII

Si duole d'haver offeso la sua Donna, come di gravissima colpa.

Ahi, quale angue infernale in questo seno
Serpendo, tanto in lui veneno accolse?
E chi formò le voci, e chi disciolse
4A la mia folle ardita lingua il freno,
Sì che turbò Madonna, e 'l bel sereno
De la sua luce in atra nebbia involse?
Quel ferro ch'Efialte al ciel rivolse,
8Vinse il mio stile, o pareggiollo almeno.
Hor qual arena sì deserta, o folto
Bosco sarà tra l'Alpi, ov'io m'invole
11Da la mia vista solitario e vago?
O come ardisco hor di mirare il sole,
Se le bellezze sue sprezzai nel volto
14De la mia Donna, quasi in propria imago?

  • [1-14]. Si duole il Poeta d'havere scritto contra la sua Donna e si disdice ad imitatione di STESICORO, il quale havendo biasimato Helena, cantò la Palinodia, e d'HORATIO, che similmente in quella oda «O matre pulchra filia pulchrior» e del PETRARCA, il quale trasportato da simil passione fece simil emenda in quel sonetto «Spinse Amore et dolore ove ir non debbe | La mia lingua aviata a lamentarsi». Ma il TASSO diede maggior sodisfattione a la sua Donna, il quale chiamò il suo non solamente amore e dolore, ma [1-2] furor «infernale», et assomigliò la sua Donna a gli Iddij celesti, e particolarmente al [12-14] «sole».
  • 7. «Quel ferro, ch'Efialte al ciel rivolse»: Efialte è numerato da DANTE ne l'Inferno tra' Giganti che mosser guerra a gli Iddij, ma HOMERO il chiama Re. PINDARO ne l'Oda ad Arcesilao Cireneo fa mentione di lui chiamandolo re similmente, e d'Oti suo fratello ancora, figliuoli d'Ifimedea. E dice che l'uno e l'altro è sepelito in Naxo. I versi son questi: «Εν δέ κάξω | φαιντì Θανεῖν λιπαῖα ιφιμεγεί- | ας παιδας ωτον κα σε τολ-| μάεις εφιάλτα ἅναξ».