XXVII
Caminando di notte, prega le stelle che guidino il suo corso.
Io veggio in ciel scintillar le stelle
Oltre l'usato, e lampeggiar tremanti
Come ne' gli occhi de' cortesi amanti
4Noi rimiriam tal'hor vive facelle.
Aman forse là suso, o pur son elle
Pietose a' nostri affanni, a' nostri pianti,
Mentre scorgon le insidie, e i passi erranti
8Là dove altri d'Amor goda e favelle?
Cortesi luci, se Leandro in mare
O traviato peregrin foss'io,
11Non mi sareste di soccorso avare.
Così vi faccia il sol più belle e chiare,
Siate nel dubbio corso al desir mio
14Fide mie duci, e scorte amate e care.
- 1-2. «Io veggio in cielo scintillar le stelle | Oltre l'usato, e lampeggiar tremanti»: de lo scintillar de le stelle rende cagione ARISTOTELE nel secondo de la Posteriore, e vuol che paia così per la distanza, per la quale tremano i raggi visuali. Ma la cagione che paiono scintillar oltre l'usato, può essere o amorosa imaginatione, o debolezza di vista, o refrattione, o rompimento, per così dire, de' raggi a gli specchi. Cioè a quelle minute stille, de le quali è sparsa l'aria ne le nubi, doppo la pioggia, come disse il PETRARCA: «Non vidi mai dopo notturna pioggia, | Gir per l'aere sereno stelle erranti | E fiammeggiar tra la rugiada e 'l gelo, | Ch'io non havessi i begli occhi davanti. E convenevolmente gli occhi sono paragonati a le stelle, perchè le stelle sono quasi occhi del cielo, come dissero i nostri poeti.
- 5a. «Aman forse là suso»: ciò è detto per rispetto di Marte, di Febo, di Mercurio e de gli altri erranti, de l'amor de' quali favoleggiarono gli scrittori greci e latini.
- 7. «Mentre scorgon l'insidie, e i passi erranti»: ha risguardo al luogo già citato di CATULLO: «Aut quam sydera multa, cum tacet nox, furtivus hominum vident Amores».
- 9. «Cortesi luci, se Leandro in mare»: Leandro, giovene d'Abido, s'accese de l'amor di Hero, vergine di Sesto, e passava di notte quel breve spatio di mare, ch'è tra l'uno e l'altro luogo. Come disse DANTE «Ma l'Hellesponto, dove passò Serse | [...] | Per mareggiare in fra Sesto et Abido, | Tanto odio da Leandro non sofferse». La favola è descritta in lingua greca leggiadrissimamente da MUSEO, et in questa dal signor Bernardo TASSO, padre de l'Autore.