XVIII
Rende la cagione perchè la sua Donna andasse vestita di bianco e d'incarnato.
Bella donna i colori, ond'ella vuole
Gli interni affetti dimostrar talhora,
Prende, o da verde suol, che più s'infiora
4Di candidi ligustri e di viole,
O da vel che dipinge ad Iri il Sole,
O dal bel manto de la vaga Aurora,
E, dal ceruleo mar, che si colora,
8L'essempio spesso ella pigliar ne suole.
Da la terra e dal cielo, over da l'onde,
Non gli prendete voi, ma più sembianti
11Sono i colori a sì leggiadre membra.
Forse sdegnando haverne essempio altronde,
Così mostrar volete a' vaghi amanti
14Che degno è sol di voi, quel che v'assembra.
- 1-2. «Bella Donna i colori, ond'ella vuole | Gli interni affetti dimostrar talhora»: ha risguardo a que' versi del PETRARCA «Se 'l pensier che mi strugge, | Com'è pungente e saldo, | Cosi vestisse d'un color conforme» et a quegli altri: «Certo, cristallo, o fonte | Non mostrò mai di fuore | Nascosto altro colore, | che l'alma sconsolata assai non mostri | Più chiari i pensier nostri». Perchè gli affetti, e le passioni de l'animo si dimostrano co' vari colori. Lande essendo i pensieri de la sua Donna vaghi e giovenili, dovevano manifestarsi con habiti de' colori somiglianti. E propone l'imitatione di quattro cose vaghissime: prima de colori che mostra la terra ne la primavera quando è vestita d'herbe e di fiori; poi i colori de l'arco celeste, che altrimenti è detta Iride, la qual nasce per reflessione de raggi del sole ne le nubi; ultimamente i colori del mare e de l'Aurora; e ne la vaghezza è simile ad OVIDIO, il quale ne' libri de l'Arte de l'amare parla de colori de le vesti, in que' leggiadrissimi versi: «Aeris ecce color, tum cum sine nubibus aer, | Nec tepidus pluvias concitat Auster aquas. | Ecce tibi similes, qui quondam Phrixon et Hellen | Diceris Inois eripuisse dolis. | Hic undas imitatur habet quoque nomen ab undis; | Crediderim nimphas hac ego veste regi: | Ille crocum simulat: Croceo velarur amictu | Roscida luciferos cum dea reagir equos.: | Hic Paphias myrtos, hie purpureos amerhistos, | Albenese rosas, Threiciamve gruem: | Nec plandes Amarilli tuae, nec amigdala desunt: | Et sua velleribus nomina cera dedit». Ma diverso è il Poeta da OVIDIO, o più tosto la sua Donna da l'ammaestrate da lui in que versi che seguono «Pulla recer niveas, Briseida pulla decebat, | Cum rapta est, pulla tum quoque, veste Fuit. | Alba decet fuscas, albis Cephei placebas, | Sic tibi vestitae pressa Seriphos erat». Ma ne l'altre si considera l'artificio del vestire, in questa l'alterezza e 'l disprezzo de l'arte e la confidenza de la sua propria e natural bellezza. Dimostra adunque il Poeta come la sua Donna, sdegnando tutte queste similitudini, non si veste d'altri colori che di quelli che son propri e naturali de le sue carni, cioè il bianco e 'l porporino, forse per darci in questa guisa a dividere ch'ella non ha bisogno d'alcuno ornamento, o d'alcuna vaghezza esteriore. Ma potrebbe alcuno affermare a l'incontro, ch'ella s'assimigli ne' colori all'aurora, la qual da' poeti è descritta bianca e purpurea: ma costui non ragiona de colori de l'aurora intieramente, perchè più avicinandosi il sole, il purpureo si converte in rancio. Laonde disse DANTE de le sue guancie «Per troppa etate divenivan rance». Et HOMERO, et il TRISSINO a sua imitatione, la descrisse «Con la fronte di rose, e co' piè d'oro». Ma il PETRARCA altrimenti «Con la fronte di rose, e co' crin d'oro». Ma l'uno ci vuole descriver le mutationi che veggiamo farsi ne l'oriente per la vicinanza del sole. L'altro porci innanzi a gli occhi la bellezza d'una vaga giovine somigliante a la sua Laura.