LXXXIII
Paragona la sua infelicità con la morte d'un papagallo ch'era stato caro a la sua Donna.
Quel prigionero augel, che dolci e scorte
Note apprendea dal tuo soave canto,
Morendo in sen ti giacque, e dal tuo pianto
4Bello honore ebbe poi, felice morte.
Io, cigno in mia prigion, nè scorno apporte
S'ardito è pur ne la mia lingua il vanto,
Quel che mi detta Amore imparo e canto,
8Ma con diversa, e più dogliosa sorte.
Muoio sovente, e 'l modo è via più fero,
Perchè al martir rinasco; e 'n sì bel grembo
11Non però trovo mai tomba o feretro.
E i lumi, ch'irrigar con largo nembo
Un che passò da gl'Indi a noi straniero,
14Scarsi mi son, nè stilla io più n'impetro.
- 1a. «Quel prigioniero augel»: il papagallo, chiamato dal Poeta «prigioniero» perch'egli sta in gabbia, ad imitatione di Monsignor DE LA CASA, il qual disse: «Quel vago prigioniero peregrino».
- 1b-2a. «che dolci e scorte | Note»: così il PETRARCA: «Con tante note, e sì soavi e scorte».
- 2b. «apprendea dal tuo soave canto»: gli ucelli, i quali hanno la lingua larga, imparano di parlare, come dice ARISTOTELE ne l'Historia de gli animali.
- 5a. «Io, cigno in mia prigion»: i cigni non sogliono tenersi in gabbia; però dimostra la sua infelicità maggiore.
- 6b. «il vanto»: [il vanto] di chiamarsi «cigno», cioè vero poeta.
- 7. «Quel che mi detta Amore imparo e canto»: imita DANTE, il qual disse: «[...] Io mi son un, che quando | Amore spira, noto, et in quel modo, | Ch'ei detta dentro, vo significando». Et il Petrarca: «Colui che del mio mal meco ragiona, | Mi lascia in dubbio, sì confuso ditta».
- 9a. «Muoio sovente»: come quel del PETRARCA: «Mille volte il dì muoio, e mille nasco».
- 10b. «e 'n sì bel grembo»: seguita la comparatione.