CXXXI
Assomiglia il suo amore acceso ne gli occhi de la sua Donna al fuoco che s'accende ne lo specchio.
Qual da cristallo lampeggiar si vede
Raggio, ch'accender suole esca repente,
Tal de' begli occhi vostri il lume ardente
4Ch'a me da voi risplenda, a voi se 'n riede.
Specchio son io di beltà no, di fede,
Puro et informe, e sol a voi presente
Fatto sono da voi bello e lucente
8De la vostra beltà, che mia si crede.
E se non ch'assai spesso il duol la fronte
Mi turba, e turba in me la vostra imago,
11N'arderian fiamme più vivaci e pronte.
Ma qualunque io mi sia, turbido o vago,
Son vostro specchio, e lacrimosa fonte.
14O miracol d'Amor, possente mago.
- 1a. «Qual da cristallo»: convenevolmente assomiglia il Poeta gli occhi a lo specchio, sì per l'humor christallino, il quale è negli occhi, sì perchè gli occhi ritengono la specie, o le forme de le cose, che vogliam dirle, non altrimenti che facciano gli specchi.
- 3. «tal»: parla de l'amor che s'accende per reflessione, come il fuoco de gli specchi.
- 5a. «Specchio son io»: perchè m'imprimo de la vostra forma e son bello per questa cagione. Ma intende peraventura de l'animo, perchè l'huomo è l'animo e l'intelletto, come piaceva a' Platonici.
- 12a. «Ma qualunque io mi sia»: assomiglia se stesso a la fonte, come prima haveva fatto a lo specchio, anzi più tosto dice d'esser già trasformato in ispecchio et in fonte, imitando in ciò ANACREONTE, il quale tra le molte trasmutationi ch'egli desiderava di fare, numera queste due. Ma l'affetto del Poeta è maggiore perch'afferma d'essersi trasmutato in quelle forme ne le quali Anacreonte desidera trasformarsi. I versi d'ANACREONTE son questi: «Εγὼ δ᾿ ἰσοπτρον εἵλω, | οπως ἀει Βλὲτης Με | […] | γδορ θέλω χυέασαι | ωπως».