CXLVII
Nel medesimo soggetto.
O ne l'amor che mesci
D'amar novo sospetto,
O sollecito dubbio e fredda tema
Ché pensando t'accresci,
5Et avanzi nel petto
Quanto la speme si dilegua e scema?
S'amo beltà suprema,
Angelici costumi
E sembianti celesti
10E portamenti honesti,
Per ch'avien che temendo io mi consumi?
E che mi strugga e roda,
S'altri gli mira e loda?
Già difetto non sei
15De la gentil mia Donna,
Chè nulla manca in lei, se non pietate;
E temer non devrei
Ch'ove honestà s'indonna
Regnasse Amor fra voglie aspre e gelate.
20Pur la sua gran beltate,
Ch'altrui sì rasserena,
E lo mio picciol merto
Mi fa dubbioso e 'ncerto,
Tal che sei colpa mia, non sol mia pena:
25Sei colpa e pena mia,
O cruda Gelosia.
E me stesso n'accuso,
Ch'al mio martir consento
Sol per troppo voler, per troppo amare;
30E quel che dentro è chiuso,
Con cento lumi e cento
Veder i' bramo, e non sol ciò ch'appare.
Luci serene e chiare,
Soavi e cari detti,
35Riso benigno e lieto,
Che fa nel più secreto
Albergo l'alma fra celati affetti?
Fra gli occulti pensieri,
Che vuol, ch'io tema e speri?
40Voi, sospiri cortesi
E fidi suoi messaggi,
A cui ve 'n gite, a cui portate pace?
Deh, mi fosser palesi
Vostri dolci viaggi,
45E quel che nel suo core asconde e tace.
Oimè, che più le piace?
Valore o chiara fama,
O bella giovinezza,
O giovenil bellezza
50O più sangue reale honora et ama?
Ma, se d'amor s'appaga,
Forse del nostro è vaga.
È 'l mio vero et ardente,
E per timor non gela,
55Nè s'estingue per ira o per disdegno,
E cresce ne la mente
S'egli si copre e cela.
Però se rade volte ascoso il tegno,
Ben di pietate è degno,
60E degni di mercede
Sono i pensier miei lassi;
Così solo il l'amassi,
Come il mio vivo foco ogn'altro eccede,
Chè non temerei sempre
65In disusate tempre.
Nè solo il dolce suono,
E l'accorte parole
Di chi seco ragiona, e i bei sembianti,
Ma spesso il lampo e 'l tuono
70E l'aura e 'l vento e' l sole
Mi fan geloso, e gli altri Divi erranti.
Temo i celesti amanti,
E se ne l'aria io veggio
O nube vaga o nembo,
75Dico: - Hor le cade in grembo
La ricca pioggia, - e co 'l pensier vaneggio,
Ché spesso ancor m'adombra
Duci et Heroi ne l'ombra.
Canzon, pria mancherà fiume per verno,
80Che nel mio dubbio core
Manchi per gelo Amore.
- 1. «O ne l'amor, che amor»: chiama la gelosia con molti sinonimi, i quali si convengono al poeta, come insegna ARISTOTELE nel terzo de la sua Retorica: la chiama [2]«sospetto» ne l'amore, a differenza de gl'altri sospetti che non sono amorosi, perchè questa diversità basta a dimostrar quel ch'ella sia; la chiama [3a]«dubbio», la chiama [3b]«tema» similmente. Dimostra più chiaramente da' congiunti e da gl'opposti quale sia. Imperoch'è sempre accompagnata col pensiero, dal qual piglia accrescimento, è sempre contraria alla speranza. Laonde alcuni hanno detto che la gelosia è quasi infermità e febre de la speranza ch'al fine l'uccide, convertendosi in disperatione.
- 7a. «S'amo beltà suprema»: dubita come gelosia possa esser de le bellezze de l'animo o di quelle del corpo che sono congionte con l'honestà.
- 14-15. «Già difetto non sei | De la gentil mia Donna»: dice che la gelosia non è difetto de la sua Donna, ne la quale non è altro mancamento che di pietà, e non intende di quella ch'è propriamente pietà, la qual è numerata con l'altre supreme virtù de la mente, cioè con la fede e con la religione, e da alcuni è deffinita culto d'Iddio, ma di quella passione de gl'animi nostri ch'altrimenti è detta misericordia. Perchè questa non ha luogo in coloro che si stimano felici, come insegna ARISTOTELE nel secondo de la Retorica.
- 20. «Pur la tua gran beltate»: dice dove son le cagioni de la gelosia: la bellezza de la sua Donna e 'l suo poco merito. E conchiude ch'ella non sia solamente propria [24a]«colpa», ma propria [24b]«pena».
- 27. «E me stesso n'accuso»: accusa se medesimo de la gelosia come di proprio difetto, seguendo in ciò la dottrina di PLATONE o di Socrate nel Gorgia, e di nuovo assomiglia il geloso ad Argo, o più tosto dice che vorrebbe haver tanti occhi da guardar le cose interiori quanti Argo n'haveva per l'esteriori.
- 33. «Luci serene e chiare»: affettuosissima conversione a gli occhi, a le parole, al riso.
- 36-37a. «Che fa nel più secreto | Albergo l'alma»: chiama il cuore «albergo de l'anima».
- 40. «Voi sospiri cortesi»: si rivolge a' sospiri, i quali chiama [41]«Messaggieri» de l'anima e desidera di sapere ove siano inviati, e copre ad una ad una le ragioni de la gelosia.
- 53. «e 'l mio vero et ardente»: narra le qualità del suo amore, dimostrando com'egli merita [59-60] premio e pietà.
- [66-78]. Mostra come la sua gelosia il mova a sospettare di quelle cose ancora per le quali gl'altri non sogliono esser gelosi, et accortamente tocca la favola di Danae, del cui amore acceso, Giove si convertì in pioggia d'oro.
- 79. «Canzon, pria mancherà fiume per verno»: questa è lingua, come dicono alcuni, straniera artificiale, perchè il Poeta dà al nome «verno» quella significatione che la voce hiems ha fra' Latini alcuna volta, come nel primo de l'Eneide: «Accipiunt inimicum hiemem rimisque fatiscunt». La qual significatione gli fu data alcuna volta da' Toscani.