XXXIII
Loda l'herba mandatagli in dono e coltivata da la sua Donna, facendone comparatione con quella per la quale Glauco si trasmutò.
Herba felice, che già in sorte havesti
Di vento in vece e di temprato sole,
Il raggio de' begli occhi accorti honesti,
4E l'aura di dolcissime parole;
E sotto amico ciel lieta crescesti,
E qual hor più la terra arsa si duole,
Pronta a scemar il fero ardor vedesti
8La bella man, che l'alme accender suole;
Ben sei, tu, dono aventuroso e grato,
Ond'addolcisca il molto amaro, e satio
11Il digiuno amoroso i parte i' renda.
Già novo Glauco, in ampio mar mi spatio
D'immensa gioia, e 'n più tranquillo stato
14Quasi mi par ch'immortal forma i' prenda.
- 1a. «Herba felice»: così la chiama, perch'essendo in un testo coltivato da la sua Donna, haveva maggior obligo a l'arte usata da lei, ch'alla natura medesima.
- 5a. «E sotto amico ciel»: tutto ch'ella fosse peregrina, nondimeno verdeggiò felicemente in questo clima.
- 7-8. «Pronta a scemar il fero ardor, vedesti | La bella man, che l'alme accender suole»: soleva adacquarla due volte il giorno, et in quello atto essendo veduta dal Poeta, facea effetti diversi ne l'erba e nel suo cuore: perchè l'uno irrigava, e l'altro accendeva.
- 9. «Ben sei tu dono aventuroso e grato»: «aventuroso», perchè fu principio o segno di buona fortuna in amore. Grato, per la gratia di chi'l mandava, e per la gratitudine di chi il riceveva.
- 10-11. «Onde addolcisca il molto amaro, e satio | Il digiuno amoroso in parte i' renda»: parla de l'amaritudine de l'animo, la quale fu addolcita per questo dono.
- 11a. «Il digiuno amoroso»: e per «digiuno amoroso» non intende solamente il desiderio di vederla, come intese il PETRARCA quando egli disse: «Fame amorosa, e non poter mi scusi», ma la cupidità di vederla, e d'udirla, e d'ogni suo dono e d'ogni suo favore, et il divieto di goderne, o d'usurparse le cose non concedute.
- 12-13a. «Già novo Glauco, in ampio mar mi spatio | D'immensa gioia»: Glauco pescatore, come si legge in OVIDIO, mangiando d'una herba de la qual prima havevano gustato i pesci presi da lui, sentì dentro trasmutarsi, e saltando nel mare, cambiò figura parimente, e fu ricevuto nel consortio de gli altri Dei marini. PLATONE nel X del Giusto dice che l'antica figura di Glauco, tanto cambiata dal suo primo essere e così rotta da l'onde e con tante alghe e conche e sassi che le sono attaccate per le quali dimostra l'imagine sua assai più fiera, è simile a l'anima contaminata d'infiniti mali. È seguito PLATONE da Monsignor DE LA CASA in quel sonetto: «Già lessi, et hor conosco in me sì come | Glauco nel mar si pose huom puro, e chiaro».Ma il Poeta in questo luogo imita DANTE, il quale essendo quasi deificato per la contemplatione, assomiglia la sua trasformatione a quella di Glauco.