LXXXI
Rende la cagione perchè più tosto habbia mandato a donare il ritratto de la Donna che il suo medesimo.
Donai me stesso, e se sprezzaste il dono,
Che donarvi più caro hor vi potrei?
La mia imagine no, ch'a gli occhi miei
4Tanto è molesta, quanto lunge i' sono.
Talchè quasi d'amarmi io vi perdono,
Benché sian tutti amori i pensier miei;
Nè fuor ch'un bel sembiante altro saprei
8Donar, perchè 'l gradiste, e quel vi dono.
In voi finite almen vostri desiri,
Nè gli torca vaghezza ad altro obietto,
11Ch'è men bello di voi dovunque io miri.
Sol geloso mi faccia il vostro aspetto,
Ch'amando il piacer vostro e i miei martiri,
14Amerete il mio amore, e 'l mio sospetto.
- 1. «Donai me stesso, e se sprezzaste il dono»: argomento da più al meno; se sprezzaste il dono ch'io feci di me stesso, non potrete stimar quel del mio ritratto, però dono il vostro.
- 3b. «ch'a gli occhi miei»: rende un'altra cagione; e se la mia imagine spiace a gli occhi miei, molto più dispiacerà a' vostri.
- 4b. «quanto lunge i' sono»: accenna che lo star lontano da la sua Donna il faccia parer più tosto brutto de l'usato, o per dolore, o per altra soverchia passione.
- 5. «Talchè quasi d'amarmi io perdono»: imita DANTE, il qual disse «Amore a nullo amato amar perdona», quasi l'amare sia pena, e se ciò è vero, la pena è perdonata. O quasi il non amare sia colpa: et in questa guisa si concede il perdono de la colpa.
- 6. «Benchè sian tutti amori i pensier miei»: tanto maggiore è la clemenza del perdonare, quanto è maggior l'amore.
- 7a. «Nè fuor ch'un bel sembiante»: se 'l dono doveva esser convenevole, non poteva esser se non s'una bella imagine.
- 9. «In voi finite almen vostri desiri»: desidera ch'ella s'invaghisca di se medesima, a guisa di Narciso, per non haver gelosia per altra cagione.