CXXXIX

Prega l'Aura che porti le sue parole a la sua Donna.

Aura, c'hor quinci scherzi hor quindi vole,
Fra 'l verde crin de' mirti e de gli allori,
E destando ne' prati i vaghi fiori
4Con dolce furto un caro odor n'invole;
Deh, se pietoso spirto in te mai suole
Svegliarsi, lascia i tuoi lascivi errori,
E colà drizza l'ali, ove Licori
8Stampa in riva del fiume herbe e viole.
E nel tuo molle sen questi sospiri
Porta, e queste querele alte amorose
11Là 've già prima i miei pensier n'andaro.
Potrai poi quivi a le vermiglie rose
Involar di sue labra odor più caro,
14E riportarlo in cibo a i miei desiri.

  • 1. «Aura, c'hor quinci intorno scherzi e vole»: altrimenti si legge: «dura, c'hor quinci scherzi, hor quindi vole». Poeticamente ragiona con l'aura, a la quale attribuisce il destare i fiori, come attribuì il PETRARCA dicendo «E desta i fior tra l'herbe in ciascun prato», perchè l'aure portando l'odor lontano lo fanno sentire. Per questa cagione ancora è detto ch'involino gli odori.
  • 5a. «Deh, se pietoso spirto»: perchè l'aura è spirito, [6] «errori» le mutationi perch'i venti si mutano.
  • 7a. «E colà drizza l'ali»: l'aure sono dipinte alate, perchè niuna cosa è più veloce.
  • 8. «Stampa in riva del fiume herbe e viole»: a differenza di quell'altro: «Ove vestigio human la rena stampi», per dimostrar la vaghezza del luogo nel quale erano sì spessi i fiori, che rimarranno impressi de la forma del piede.
  • 12. «Potrai poi quivi»: leggiadrissimamente conclude invitando l'aura al furto de' più soavi odori.