CLXIII

Desidera di veder la sua Donna, ancorchè turbata.

D'aria un tempo nudrimmi: e cibo e vita
L'aura mi fu, che d'un bel volto spira;
Hor che lei mi contende orgoglio ed ira,
4Di qual esca sarà l'alma nudrita?
I famelici spirti in vano aita
Chiamano, e 'ndarno il cor langue e sospira.
Ma se pur l'empia a darle morte aspira,
8Muoia non per digiun, ma per ferita.
Armi gli occhi di sdegno e strali aventi
A mille a mille; a' feri colpi, ignuda,
11Io porgo l'alma, non ch'inerme il seno.
Faccia il mio stratio i suoi desir contenti:
Ben fia pietà ch'io la riveggia almeno
14Non dico pia, ma disdegnosa e cruda.

  • 1a. «D'aria un tempo nudrimmi»: è detto per eccitar maraviglia, come quello «Un vive ecco d'odor là su il gran fiume | Io qui di foco e lume | Queto i vaghi e famelici miei spirti». E s'assomiglia in ciò al camaleonte, il quale si nudrisce d'aria (come si dice) e molto convenevolmente è preso per significare il cortegiano, come scrive PLUTARCO. Ma per «aura» il Poeta allegoricamente intende le vane speranze de le quali si nudriscono i cortegiani e gli amanti similmente.
  • 3a. «Hor che lei mi contende»: dubita di qual cibo possa nudrirsi, mancandogli la speranza.
  • 8. «Moia non per digiun, ma per ferita»: chiama «digiuno» la privatione de la vista, e «ferite» i turbati sguardi de la sua Donna.
  • 9. «Armi di sdegno»: esprime affettuosamente il gran desiderio c'ha di vederlo in qualunque modo.