CLXV
Descrive come andando per vedere uno incendio notturno s'accendesse d'amoroso fuoco.
Ardeano i tetti, e 'l fumo e le faville
Rote faceano, e tenebrosi giri:
E 'ntanto io spargea fuor caldi sospiri
4Al ribombar de le sonore squille.
Quando sembianze placide e tranquille
L'alto incendio destar de' miei desiri;
Et hor dovunque gli occhi o 'l piede io giri
8Miro i bei raggi sparsi a mille a mille.
Così presagio d'amoroso ardore
Fu quel notturno foco, e la mia fiamma,
11Già mancando l'altrui, s'accese e crebbe;
Nè d'avampar, nè di pregar m'increbbe:
Sì piace il modo onde un sol petto infiamma
14Con tante faci e con nova arte Amore.
- 1-2a. «Ardeano i tetti, e 'l fumo, e le faville | Rote faceano»: esprime l'effetto che fanno insieme il fumo e la fiamma ne l'inalzarsi, ad imitatione di VIRGILIO: «Flammarum attollit globos».
- 4a. «Al ribombar»: de la campana che suona perchè la gente corra al fuoco.
- 5a. «Quando sembianze»: quelle de la Donna amata, la quale essendo in tanto pericolo, non mostrò di spaventarsi.
- 7-8. «Et hor dovunque gli occhi e 'l piede io giri | Miro i bei raggi sparsi a mille a mille»: le similitudini de la bellezza, le quali chiama «raggi» ad imitatione del PETRARCA, il qual disse: «In quante parti il fior de l'altre belle | Stando in se stessa la sua luce ha sparta».
- 9а. «Così presagio»: dice che 'l fuoco notturno non fu causa del suo amore, perch'egli era prima innamorato, ma presagio.
- 10b-11. «e la mia fiamma | Già mancando l'altrui, s'accese e crebbe»: cioè il mio amore, il qual a pena era cominciato, s'accese in guisa che non m'increbbe nè d'ardere, nè di pregare, tanto era il piacere ch'io sentiva ne l'amare.