CLVI

Introduce la Gelosia a ragionar di se medesima.

Io son la Gelosia, c'hor mi rivelo
D'Amor ministra in dar tormento a' cori.
Ma non discendo già dal terzo Cielo,
Dov'Amor regna, anzi duo son gli Amori,
Nè là su mai s'indura il nostro gelo,
Tra le divine fiamme e i puri ardori;
Non però da l'Inferno a voi ne vegno,
Ch'ivi amor no, ma sol vive odio e sdegno.
Forma invisibil sono; e mio ricetto
È non chiuso antro od horrida caverna,
Ma loco ombroso e verde e real tetto,
E spesso stanza de' cuor vostri interna;
E formate ho le membra, e questo aspetto,
D'aria ben densa, e la sembianza esterna
Di color vari ho così adorna e mista,
Che di Giunon l'ancella appaio in vista.
Questo che mi ricopre, onde traluce
Parte però del petto bianco e terso,
D'aria è bel velo; e posto in chiara luce
Prende sembiante ad hor ad hor diverso.
Hor qual piropo al sol fiammeggia e luce,
Hor nero il vedi, hor giallo, hor verde, hor perso,
Nè puoi certo affermar ch'egli sia tale,
E di color sì vari anco son l'ale.
Gli homeri alati, alati ho ancora i piedi,
Sì che Mercurio, e 'nsieme Amor simiglio;
E ciascuna mia penna occhiuta vedi
D'aureo color, di nero e di vermiglio.
Pronta e veloce son più che non credi,
Popol che miri. Il sa Venere e 'l figlio,
Leve fanciul che fora un tardo veglio,
Ma se posa, o se dorme, io 'l movo e sveglio.
Questa, c'ho ne la destra, è di pungenti
Spine, onde sferzo de gli amanti il seno.
Ben ho la sferza ancor d'empi serpenti
Fatta, e 'nfetta di gelido veneno;
Ma su le disleali alme e nocenti
L'adopro, quai fur già Teseo e Bireno.
L'Invidia la mi diè, compagna fera
Mia, non d'Amor: la diede a lei Megera.
Non son l'Invidia io no, benché simile
Le sia, com'ha creduto il volgo errante.
Fredde ambe siam, ma con diverso stile:
Pigra ella move, io con veloci piante,
E mi scaldo nel volo, ella in huom vile,
Io spesso albergo in cor d'illustre amante,
Ella fel tutta, e mista io di dolore,
Ella figlia de l'odio, io de l'amore.
Me produsse la tema, Amore il seme
Vi sparse, e mi nudrì cura infelice.
Fu latte il pianto, che da gli occhi hor preme,
Giusto disdegno, hor van sospetto elice.
Così il padre e la madre assembro insieme,
E 'n parte m'assomiglio a la nutrice;
E 'l cibo ancor, che nutricommi in fasce,
E quel che mi diletta, e che mi pasce.
Di pianto ancor mi cibo e di pensiero,
E per dubbio m'avanzo e per disdegno,
E mi noia egualmente il falso e 'l vero,
E quel ch'apprendo, in sen fisso ritegno.
Nè sì, nè no nel cor mi sona intiero,
E varie larve a me fingo e disegno.
Disegnate le guasto e le riformo,
E 'n tal lavoro io non riposo o dormo.
Sempre erro, e ovunque vado i dubbi sono
Sempre al mio fianco, e le speranze a lato.
Ad ogni cenno adombro, ad ogni suono,
A un batter di palpebre, a un trar di fiato.
Tal è mia qualità, quale io ragiono,
Principi, e voi cui di vedermi è dato,
Et hora Amor fra mille lampi e fochi
Vuol ch'io v'appaia ne' notturni giochi.
Perchè, s'avien ch'al sonno i lumi stanchi
La notte inchini e la quiete alletti,
Io vi stia sempre stimolando a' fianchi
E col timor vi desti e co' sospetti;
Perchè gente al teatro homai non manchi,
Nè sian gli altri suoi giochi in lui negletti.
Ma vien che mi discaccia; ond'io gli cedo
Et invisibil qui tra voi mi siedo.

  • 1. «Io son la Gelosia, c'hor mi rivelo»: cioè prendo corpo col qual posso esser veduta, e forse ha risguardo a le parole che s'apparecchia di dire, ne le quali scoprì la sua natura.
  • [2a]. «D'Amor compagna», perchè segue l'amore, quasi invisibilmente. Altrimenti si legge «ministra in dar tormenti», perchè fra le passioni amorose niuna è più fiera e più spiacevole de la gelosia.
  • 3. «Ma non discendo già dal terzo Cielo»: cioè non son compagna de l'Amor celeste, ma del volgare, perchè due son gli Amori, come due son le Veneri.
  • 5a. «Nè là su»: in cielo.
  • 5b. «mai s'indura il nostro gelo»: metaforicamente inteso per il timore, perochè in Cielo non è altra temenza, nè altra passione.
  • 7. «Non però da l'Inferno»: doppo haver detto che non discende dal Cielo, soggiunge che non viene «da l'Inferno», perchè s'ella segue l'Amore, e l'Amore non è mai ne l'Inferno, ella similmente non vi può essere. Havrebbe ciò potuto provare per altra ragione, perchè ne l'Inferno è disperatione, ma dove è disperatione non è gelosia. È dunque la gelosia un affetto quasi di mezo, com'è l'amore, non buono e non cattivo, nè bello nè brutto, ma tra l'uno e l'altro.
  • 9a. «Forma invisibil sono»: perchè le passioni si diffiniscono ancora per la forma, et ella propriamente è timore.
  • 9b. «e mio ricetto»: dimostra dove habiti, cioè nel cuore de gli huomini dove habita l'Amore. Dice ancora d'havere albergo ne le selvette e ne' giardini, perch'in somiglianti luoghi da diporto, spesso l'uno amante suole haver gelosia de l'altro.
  • 13a. «E formate ho le membra»: nel prender corpo, ha preso corpo aereo, come Iride di più colori, per dimostrar le mutationi de l'aspetto che seguitano a le passioni de l'animo, le quali perciò son dette «passibiles qualitates». E per simile cagione il Sig[nor] LORENZO DE' MEDICI disse di lei parlando in alcune sue stanze: «Et un ammanto | D'uno incerto color cangiante havea». Bench'il medesimo autore dia a la speranza la vesta di nebbia in que versi: «Et una Donna di statura immensa | La cima de' capelli al ciel par monti | Formata, e vestita di nebbia densa | Habita in sommo de più alti monti».
  • 17a. «Questo che mi ricopre»: descrive più minutamente quale sia il velo de la gelosia.
  • 17b. «onde traluce»: per dimostrar ch'i pensieri traspaiono al geloso, quasi per vela.
  • 21a. «Hor qual piropo»: per significatione del piacere o de l'ira, per dimostrar l'altre passioni de l'animo che son congiunte con la gelosia, e quasi effetti di lei.
  • 23a. «Nè puoi certo affermar»: perchè ne la gelosia non è certezza alcuna, ma tutte le cose son dubbie.
  • 24. «E di color sì vari anco son l'ale»: finge la gelosia alata, come si finge Amore, perch'altrimenti non potrebbe seguitarlo in ciascuna parte, e ciò dimostra ch'i pensieri e i sospetti del geloso sian velocissimi.
  • 25a. «Gli homeri ho alati»: descrive come sian l'ali de la gelosia, cioè simili a quelle di Mercurio e d'Amore, ma occhiute, come quelle d'Argo, per dimostrar ch'il geloso ha cento occhi ne' suoi sospetti.
  • 29. «Pronta e veloce son, più che non credi»: perchè la velocità e la vigilanza del geloso spesse volte è tenuta occulta non altrimenti che sian gli amori de la persona di cui s'ha gelosia.
  • 31. «Leve fanciul, che fora un tardo veglio»: è detto ad imitatione d'OVIDIO ne libri de l'Arte d'Amore, dove c'insegna ch'i sospetti e l'emulationi de' rivali son cagioni che l'amor ringiovenisca. I versi son questi: «Dum cadat in laqueos, captus quoque nuper, amator | solum se thalamos speret habere tuos; | Postmodo rivalem partitaque foedera lecti | sentiam: has artes tolle, senescet amor. | Tunc bene fortis equus reserato carcere currit, | cum, quos pratereat quosve sequatur, habet | Quoslibet extinctos iniuria suscitat ignes: | en ego, confiteor, non nisi laesus amor».
  • 33a. «Questa, c'ho ne la destra»: la gelosia ha il flagello di spine per dimostrar quanto siano acute e pungenti le passioni d'Amore, de le quali dice CATULLO: «Spinosas Ericina serens in pectore curas».
  • 35. «Ben ho la sferza ancor d'empi serpenti»: significa la «sferza de' serpenti» le morti, de le quali alcuna fiata è cagione la gelosia.
  • 36a. «Fatta, e 'nfetta»: scherza sovra questi nomi, l'ultimo de' quali è di molte significationi, quasi la gelosia fosse cagione di frastornar le cose fatte, come le nozze et i matrimoni in questa guisa «Facta infecta facit», ch'in altro significato è tenuta per cosa impossibile. Laonde, «Hoc uno privatur Deus facta infecta facere». Nè ripugna a le cose dette la favola di Teseo o di Bireno, che non uccisero Arianna et Olimpia, perch'il lasciarle in un'isola deserta, quasi in preda a le fere, è simile a la morte, benché dapoi ne succedesse ancora la morte di Bireno.
  • 40a. «Mia, non d'Amor»: ripugna a quello che nel Fedro dice Lisia, appresso PLATONE, de l'invidia de l'amante. Ma si dee intender che l'invidia non è immediatamente compagna d'Amore, ma col mezo de la gelosia. Segue dunque l'invidia la gelosia, la qual segue l'amore.
  • 41a. «Non son l'Invidia no»: mette la differenza tra l'invido et il geloso, tra le quali è principalissima, chè noi portiamo invidia a' nemici, ma siam gelosi de l'amante. L'altre cose si dicono poeticamente.
  • 49a. «Me produsse la tema»: dice quali siano i genitori de la gelosia, cioè [49b] «l'Amore» e [49a] la timidità, perch'ella altro non è che timore per la cosa amata. La nutrice è la [50] «cura», cioè il pensiero, perchè pensando s'accrescono tutte le passioni.
  • 55a. «e 'l cibo ancor»: è detto per assicurar le donne dal soverchio spavento, mostrando che de l'altro, quantunque se ne possa pascere, non ha diletto, perchè il geloso è ancora amante, come si legge d'Herode: «Vuoi veder in un cor di letto e tedio | Dolce et amaro; hor mira il fiero Herode | Ch'Amore e Gelosia gli han posto assedio».
  • 57a. «Di pianto ancor mi cibo»: cibo parimente d'Amore, come dice il PETRARCA: «Ch'io mi pasco di lagrime, e tu 'l sai». O vuole accennare che de la gelosia non cresciuta è cibo il pianto, ma de la cresciuta il sangue.
  • 58a. «E per dubbio m'avanzo»: dimostra l'altre proprietà de la gelosia, la qual può esser vero sospetto e di falso; e de l'uno e de l'altro s'afflige, nè lascia l'impressione di leggeri, ma tiene il geloso in continua incertitudine et in diverse sollecitudini. Ma potrebbe alcuno dubitare perchè discordi il poeta LORENZO DE' MEDICI, il quale con pochi altri ragionò de la gelosia, dicendo «Nel primo tempo, che Chaos antico | Partorì il figlio suo diletto Amore, | Nacque questa maligna Dea, ch'io dico | Nel medesimo parto venne fore. | Giove, padre benigno al mondo amico, | La relegò tra l'ombre inferiore, | Con Pluton, con le Furie, e stiè con loro, | Mentre regnò Saturno, e l'età d'oro». Al che rispondo non esser convenevole che la gelosia dica male di se stessa, quantunque quella del sig[nor] LORENZO sia bellissima poesia. Hebbe adunque il Poeta riguardo al decoro de la persona introdotta. Oltre a ciò, s'intendiamo de la gelosia de gli stati, non è molto discorde da l'altra opinione, perchè mentre Giove consentì che 'l padre regnasse, gelosia, nata dal timore di perdere il regno, fu rilegata ne l'Inferno.
  • 65a. «Sempre erro»: non perchè sempre i sospetti sian falsi, ma perchè la gelosia tiene altrui in continuo movimento. O vuol dimostrar ch'ella non sia mai senza qualche errore, etiandio ne le cose certe.
  • 69a. «Tal è mia qualità»: si volge a' Principi et a gli altri ch'erano spettatori.
  • 73a. «Perchè, s'avien»: l'officio de la gelosia è di tener gli huomini desti. Però gli è data questa cura ancora ne gli spettacoli.
  • 79a. «Ma vien chi mi discaccia»: non so s'intende per la fede, o d'altra persona introdotta a ragionare.