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Il ballo della torcia usitatissimo in molte parti d’Italia, suole esser l’ultimo in ordine fra tutti gli altri balli che si facciano nella festa, et è riposto nell’arbitrio di ciascuna persona nelle cui mani pervenga la torcia, ammorzandola, terminar quella danza e la festa insieme; et in tale occasione fu fatto questo sonetto, peroché una gentildonna con troppa importuna fretta estinguendola, impose fino a quel piacevole trattenimento.

Ove tra care danze in bel soggiorno
Si trahean le notturne e placid’hore,
Face, che nel suo foco accese Amore,
4Lieto n'apriva a meza notte il giorno;
E da candide man vibrata intorno
Spargea faville di sì puro ardore,
Che rendea vago d'arder seco il core,
8E scherzar, qual farfalla, al raggio adorno;
Quand'ecco a te, man cruda, offerta fue,
E da te presa e spenta: e ciechi e mesti
11Restar mill'occhi a lo spirar d'un lume.
Ahi come allhor cangiasti arte e costume:
Tu ministra d'Amor, tu, che le sue
14Fiamme suoli avvivar, tu l'estinguesti.