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Questa è la prima di tre sorelle, scritte a Madama Leonora da Este sua singularissima padrona e benefattrice, la quale con danno universale sendo stata lungo tempo inferma, dava in quel tempo che fu fatta questa canzone, speranza di riconvalersi; l’altre due sorelle non sendo ancora ridutte a buon termine non si vedranno per hora con queste compositioni.
Mentre ch'a venerar movon le genti
Il tuo bel nome in mille carte accolto,
Quasi in sacrato tempio idol celeste;
E mentre c’ha la Fama il mondo volto
5A contemplarti, e mille fiamme ardenti
D’immortal lode in tua memoria ha deste;
Deh non sdegnar ch'anch'io te canti, e 'n queste
Mie basse rime volontaria scendi,
Né sia l'albergo lor da te negletto:
10Ch'anco sott’humil tetto
S’adora Dio, cui d'assembrarti intendi,
Né sprezza il puro affetto
Di chi sacrar face mortal gli suole,
Benché splenda in sua gloria eterno il sole.
15Forse, come talhor candide e pure
Rende Apollo le nubi, e chiuso intorno
Con lampi non men vaghi indi traluce,
Così vedrassi il tuo bel nome adorno
Splender per entro le mie rime oscure
20E 'l lor fosco illustrar con la sua luce;
E forse anco per sé tanto riluce,
Ch'ov'altri in parte non l'asconda, e tempre
L’infinita virtù de' raggi sui,
Occhio non fia che 'n lui
25Fiso mirando non s'abbagli e stempre:
Onde, perch'ad altrui
Col suo lume medesmo ei non si celi,
Ben dei soffrir ch'io sì l'adombri e veli.
Né spiacerti anco dee che solo in parte
30Sia tua beltà ne' miei colori espressa
Da lo stil ch'a tant'opra audace move:
Però che s'alcun mai quale in te stessa
Sei, tal ancor ti ritrahesse in carte,
Chi mirar osaria forme sì nove
35Senza volger per tema i lumi altrove?
O chi mirando folgorar gli sguardi
De gli occhi ardenti, e lampeggiar il riso,
E 'l bel celeste viso
Quinci e quindi aventar fiammelle e dardi,
40Non rimarria conquiso,
Bench'egli prima in ogni rischio audace
Non temesse d'Amor l'arco e la face?
E certo il primo dì che 'l bel sereno
De la tua fronte agli occhi miei s'offerse
45E vidi armato spatiarvi Amore,
Se non che riverenza allhor converse,
E maraviglia, in fredda selce il seno,
Ivi peria con doppia morte il core;
Ma parte de gli strali e de l'ardore
50Sentii pur anco entro 'l gelato marmo:
E s'alcun mai per troppo ardire ignudo
Vien di quel forte scudo,
Ond'io dinanzi a te mi copro et armo,
Sentirà 'l colpo crudo
55Di tue saette, et arso al fatal lume
Giacerà con Fetonte entro 'l tuo fiume.
Ché, per quanto talhor discerne e vede
De' secreti di Dio terrena mente
Che da Febo rapita al ciel se 'n voli,
60Providenza di Giove hora consente
Che 'nterno duol con sì pietose prede
Le sue bellezze al tuo bel corpo involi:
Ché se l'ardor de' duo sereni soli
Non era scemo, e 'ntepidito il foco
65Che ne le guance sovra 'l gel si sparse,
Incenerite et arse
Morian le genti, e non v’havea più loco
Di riverenza armarse,
E, ciò che 'l Fato pur minaccia, allhora
70In faville converso il mondo fora.
Ond'ei che prega il ciel che nel tuo stato
Più vago a lui ti mostri, e c’homai spieghi
La tua beltà, che 'n parte ascosa hor tiene,
Come incauto non sa che ne' suoi preghi
75Non chiede altro che morte? E ben il fato
Di Semele infelice hor mi soviene,
Che 'l gran Giove veder de le terrene
Forme ignudo bramò, come de' suoi
Nembi e fulmini cinto in sen l'accoglie
80Che gli è sorella e moglie;
Ma sì gran luce non sostenne poi:
Anzi sue belle spoglie
Cenere fersi, e nel suo caso reo
Né Giove stesso a lei giovar poteo.
85Ma che? forse sperar ancor ne lice
Che se ben dono ond'arda e si consumi
Tenta impetrar con mille preghi il mondo,
Potrà poi anco al sol di duo be' lumi
Rinovellarsi in guisa di Fenice
90E rinascer più vago e più giocondo,
E quanto ha del terreno e de l'immondo
Tutto spogliando, più leggiadre forme
Vestirsi: e ciò par ch'a ragion si spere
Da quelle luci altere,
95Ch'esser dee l'opra a la cagion conforme;
Né già si puon temere
Da beltà sì divina effetti rei,
Ché vital è 'l morir, se vien da lei.
Canzon, deh sarà mai quel lieto giorno
100Che 'n que' begli occhi le lor fiamme prime
Raccese io veggia, e ch'arda il mondo in loro?
Ch'ivi, qual foco l'oro,
Anch'io purgarei l'alma, e le mie rime
Foran d'augel canoro,
105C’hor son vili e neglette, se non quanto
Costei le onora col bel nome santo.