Lettera n. 837

Mittente
Tasso, Torquato
Destinatario
Licino, Giovanni Battista
Data
22 giugno 1587
Luogo di partenza
Mantova
Luogo di arrivo
Bergamo
Lingua
italiano
Incipit
Questa mattina ho avuta una lettera vostra da me desideratissima
Regesto

Tasso informa Giovanni Battista Licino di aver avuto in mattinata una sua attesissima lettera, cui risponde che non avrebbe dato ai librari le sue opere da lui stampate per cento scudi, poiché gliene erano già stati promessi duecento già da Vittorio Baldini per le sole rime: e ciò non perché non potesse fare lo stesso guadagno per le prose, ma perché «hanno cercato d’opprimere il mio nome». Se Baldini non vuole rispettare la promessa, gli deve perlomeno tredici scudi e alcuni libri; «dell’altre cose» si scusa, incolpando l’editore Giulio Vasalini, che ha tratto il maggior guadagno dalle stampe tassiane. Il Vasalini, lamenta Tasso, è stato assai scorretto e ha perseguito il proprio utile, non considerando la volontà del poeta, che ricorda una pena della repubblica veneziana per i librai, irrispettosi della volontà autoriale. Il poeta spera che, anche con il favore dei «Signori Grilli», possa appellarsi a questa legge o almeno confidare nel fatto che il Vasalino paghi la somma che deve a lui direttamente e non ad altri (cfr Lettere, ed. Guasti, 827). Relativamente alla ristampa (cfr Lettere, ed. Guasti, almeno 824, 825, 827 e 832), Tasso vorrebbe le prose divise dalle rime, nel formato in quarto, e per come saranno da lui corrette. Non gli importa più se la ristampa avverrà in Mantova o in Bergamo, anche se non vorrebbe mancare di rispetto a Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova, che aveva proposto la sua stessa città come luogo della nuova pubblicazione. Preme perché tre suoi dialoghi siano visti per «come io ve gli ho mandati», così che il pontefice Sisto V abbia garanzia assoluta del suo spirito cristiano, cosa che «non mi pareva che si conoscesse così ben bene ne gli altri [dialoghi]». Ringrazia Licino per aver apposto le modifiche già richiestegli al dialogo sulla dignità (De la Dignità), inserendo un passaggio tratto da Ippocrate e altri relativi alla definizione del concetto di dignità (cfr Lettere, ed. Guasti, 825). Chiede al corrispondente che preghi Ercole Tasso di attuare delle correzioni linguistiche, indicate di seguito (probabilmente ancora relative al De la Dignità). Chiarisce che nel dialogo sulla nobiltà (Il Forno overo de la nobiltà) aveva aggiunto espressioni di lode e gratitudine verso le famiglie Pio e Bentivoglio ma se ne dice pentito, per cui chiede al Licino di non modificare il testo stampato con la detta giunta. Si mostra obbligato a Marco Pio (forse intende il signore di Sassuolo) per il dono di dieci scudi che il poeta confessa di aver già esaurito. Gli sembra di spendere parole vane con Cornelio Bentivoglio e i figli. Oltre che della sua povertà, Tasso si lamenta della sua infermità e non sa se l’aria mantovana possa giovare alla sua salute. Esprime necessità di vestiario: avrebbe bisogno delle calze promessegli dalla «Signora Tarquinia» e di un paio di «ormisino» donatogli dal principe con un «giuppone». Si dice «inutile servitore», per cui non osa chiedere altro. Inoltre, informa il corrispondente che a tutte le sue scritture che va modificando aggiunge «alcuna cosa in sua lode, o di casa sua». Il poeta si chiede chi potrà intendere e copiare il dialogo (Il Nifo overo del piacere). Accetta dei «pannilini» della «Signora Cavalletta» (probabilmente Orsina Bertolaia Cavalletti «rimatrice chiara fra le donne de’ suoi tempi»: vd. Lettere, ed. Guasti, 837, p. 215 n.1). Tasso domanda quindi al Licino dei denari che gli erano stati da lui stesso promessi per Pasqua (cfr Lettere, ed. Guasti, 827) ma che ancora non ha ricevuto e ammette che in nessuna corte si può stare senza donare qualche scudo. Chiede infine che il Licino saluti a suo nome il cavaliere Enea Tasso, promettendo di fare un componimento in occasione delle nozze della figlia (secondo Guasti, potrebbe essere Silvia: vd. Lettere, ed. Guasti, 841, p. 219 n.1), poiché se non può fare doni materiali, potrà almeno offrire le sue doti poetiche. Relativamente alla sua tragedia (Il Re Torrismondo) spera che non ci sia chi «così poco discreto o tanto avaro» la stampi senza il suo consenso. Allega alla seguente una missiva ad Angelo Grillo, chiedendo al Licino di consegnargliela, e saluta Tarquinia (forse Tarquinia Molza o quella prima citata: vd. Lettere, ed. Guasti, 837, p. 216 n. 2).

Testimoni
  • Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Palatino 223, lettera n. 99, cc. 113-116
    Copia, manoscritto di altra mano.
    Manoscritto.
    Indirizzo presente.
    Note: Alla c.113, all’altezza di «Vittorio Baldini» si nota una manicula sul margine destro. Alla c.115, «avanti il giorno», «avanti Agosto», «innanzi», «avanti» e «innanzi» sono sottolineati.
  • Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10977, lettera n. 90, cc. 58v-59v
    Copia, manoscritto di altra mano.
    Manoscritto.
    Indirizzo presente.
Edizioni
Bibliografia
  • Resta 1957b = Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957, p. 174
Opere citate

Il Re Torrismondo; Il Nifo overo del piacere; Il Forno overo de la nobiltà; De la dignità

Nomi citati

Scheda di Martina Caterino | Ultima modifica: 04 gennaio 2024
Permalink: https://www.torquatotasso.org/lettere/837