Lettera n. 184

Mittente
Tasso, Torquato
Destinatario
Cato, Ercole
Data
[prima di 4 ottobre 1581]
Luogo di partenza
[Ferrara]
Luogo di arrivo
Lendinara
Lingua
italiano
Incipit
In quella scrittura ne la quale interpretai un mio sonetto
Regesto

Nell'autocommento a Rime 776, Quella che nome aver di dea non merta, inviata in risposta al sonetto del Cato Ben può Tasso, la Dea cieca ed incerta, il poeta aveva lasciato in sospeso alcune questioni. Torna dunque ad argomentare, in «funzione rafforzativa e di consolidamento teorico del commento» (Russo 1998, p. 452), la definizione di ordine, ossia la «posizione de le parti» («ordine altro non è che disposizione de le parti» in Tasso 1875, p. 160). Tasso, ritenendo falsa tale definizione perché contraria al primo capitolo del secondo libro dei «Predicamenti» di Aristotele, distingue tra ordine (riferibile a ciò che si muove) e posizione (riferibile a ciò che è fermo). Ritiene infatti che chiunque abbia scritto attribuendo un ordine alle «cose ferme e stabili» abbia sbagliato. Argomenta poi quest'affermazione con alcuni esempi: le piante di Ciro, gli alberi che rendono ombrosa la strada del palazzo Te, le stanze del palazzo di Urbino e quelle del palazzo di Mantova, le schiere di Francesco Maria I Della Rovere e di Giovanni de' Medici (Giovanni delle Bande Nere), ordinate con l'intento di resistere ai nemici (vd. in proposito Russo 1998, pp. 459-461). Tasso si interroga sulla ricezione della distinzione tra ordine e posizione, scrivendo che se non fosse stata percepita, invano ci si sarebbe interrogati sull'ordine dei libri. Conclude questa prima riflessione con un riferimento a ciò che viene affidato alla memoria, oggetto di ordine per eccellenza. La parola ordine può dunque essere usata per l'arte: in relazione a ciò, il poeta riflette sull'ordine dei testi scritti e delle orazioni in rapporto alla loro imitazione del parlato (transitorio, ma tuttavia derivante dai concetti, stabili e ordinati per propria natura). La scrittura viene considerata da Tasso come elemento di stabilità, e così di ordine, ma anche il parlato, seppur mobile, lo diviene: il poeta dimostra così che l'ordine non è solo proprio delle cose che rimangono, ma anche delle cose che trascorrono. Il ragionamento passa così a definire l'ordine del cielo e l'ordine celeste, tramite le parole stesse di Aristotele. Scrive dunque che potrebbe sembrare che Aristotele faccia riferimento all'ordine per trattare dei moti celesti, ma in realtà ciò è giustificato dal riferimento al cielo, che è sempre lo stesso, sebbene alcune sue parti da «destre» possano «farsi sinistre» e poi ancora «destre». La conclusione della missiva è che l'ordine può avere una duplice definizione, di cui una è relativa alle «cose che rimengono», e l'altra è relativa a ciò che è transitorio. Dunque anche ciò che è in movimento può essere ordinato, e Tasso, con questa dichiarazione («ed ora in questo modo mi dichiaro») completa quanto scritto nell'autoesegesi al proprio sonetto.

Edizioni
Bibliografia
  • Resta 1957b = Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957, pp. 70; 73; 112-113, n. 7
  • Russo 1998 = Emilio Russo, Una lettera di Torquato Tasso sull’ordine, in «La Cultura», XXXVI, 3, 1998, pp. 449-46
Opere citate

Sonetto al cavaliere Ercole Cato con la interpretazione e commento

Nomi citati

Scheda di Chiara De Cesare | Ultima modifica: 16 febbraio 2024
Permalink: https://www.torquatotasso.org/lettere/184