Sonetto al cavaliere Ercole Cato con la interpretazione e commento
Insieme editoriale: Trattati, discorsi, orazioni
L’autoesegesi nasce da uno scambio di sonetti con Ercole Cato nel 1581 sul tema della fortuna, proseguito poi anche sul versante della corrispondenza epistolare, presentandosi come articolazione di un percorso di riflessione sui propri versi che scandisce a ondate la produzione del Tasso maturo.
Alla protesta di Cato contro la «dea cieca ed incerta» che avrebbe colpito il poeta con la malattia (il «letale morbo») e la prigionia del corpo a Sant’Anna, senza però impedirgli di librarsi con lo spirito grazie al potere eternante dei suoi versi, Tasso risponde con il sonetto Quella che nome aver di dea non merta che presenta l’immagine di una resistenza armata – di tempra stoica – contro le avversità, ma allarga il discorso dalla sfera individuale per abbracciare la più ampia problematica del rapporto tra la casualità della fortuna e l’«ordin fatale» predisposto dalla provvidenza.
Su questo nodo si cimenta l’autocommento al sonetto, nel quale Tasso intende parlare «come filosofo e come gentile teologo» e argomentare così la scelta di aver rappresentato la fortuna con tratti negativi, privandola di connotati divini. La ragione per Tasso sta nella diversa prospettiva assunta: se considerati dal punto di vista di Dio, infatti, gli effetti accidentali nelle vicende umane sono provvidenziali e allora la fortuna può essere chiamata «Diva o Dea assai convenevolmente», come mostrano alcuni versi citati della Gerusalemme liberata (IX, 57, 4) e dei passaggi danteschi (Inf., VII, 70-96); vista da una dimensione umana, invece, la fortuna ha un andamento aleatorio, privo di un disegno, e perciò «non […] pare che del nome di Dea sia meritevole». È questo, appunto, lo sguardo assunto nel sonetto indirizzato a Cato, dove la fortuna è esclusa dalle intelligenze angeliche perché «non opera con alcuna necessità», né con ragione.
L’operazione di interpretazione e commento condotta da Tasso mostra la cifra dotta dei suoi versi, che si innestano in una solida tradizione filosofica e letteraria, ma resta in qualche modo aperta sul finale, rimandando a un ulteriore sviluppo della questione che prenderà, in effetti, la forma epistolare.
- Struttura
Al testo del sonetto di Torquato Tasso al cavaliere Ercole Cato (Quella che nome aver di dea non merta) seguono l’interpretazione e il commento dell’autore
- Storia del testo
La lettura autoesegetica tassiana nasce in stretto rapporto alla corrispondenza poetica con Ercole Cato, avviata nella tarda estate del 1581 con il sonetto di proposta Ben può, Tasso, la Dea cieca ed incerta, al quale Tasso replica con Quella che nome aver di dea non merta (Rime, 776). In chiusura dello scritto l’autore prega il destinatario di non diffondere il testo, avvertendo l’esigenza di ritornare su alcuni punti e consolidarli con altre letture; esigenza alla quale risponde la stesura di due lettere dirette a Cato (Lettere, ed. Guasti, 184-185).
Una successiva lettera tassiana, datata 4 ottobre 1581 (ivi, 187), dà conto della ricevuta tramite Giulio Mosti sia di una copia in pulito dell’autocommento, sia di una lettera di Ercole Cato del 1° ottobre, accompagnata dalla copia dei primi due sonetti di scambio e di un terzo di replica, Poi ch’al mondo la tua fede scoverta (una antecedente trascrizione risulta perduta da Tasso, vd. ivi, 185). A quest’ultimo componimento Tasso risponde con un altro sonetto, allegato alla lettera del 4 ottobre (Cato, nostra virtù chiara e scoverta, vd. Rime, 777).
Una testimonianza manoscritta dell’interpretazione e del primo sonetto indirizzato a Cato si legge nel codice Falconieri (Bergamo, Biblioteca Civica “Angelo Mai”, Cassaforte 6 15, cc. 173r-177v; Resta 1957, p. 73), allestito da Marcantonio Foppa nel XVII secolo.
Il testo viene pubblicato, insieme alla prima coppia di sonetti (Ben può, Tasso, la Dea cieca ed incerta di Cato e Rime, 776) e alle due lettere tassiane (Lettere, ed. Guasti, 184-185), nell’Aggiunta alle Rime e prose pubblicata a Venezia nel 1585 da Aldo Manuzio (Tasso 1585a).
- Date di elaborazione
autunno 1581
- Prima edizione
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Tasso 1585a
= Torquato Tasso, Aggiunta alle Rime et Prose del Sig. Torquato Tasso, In Venetia, presso Aldo, 1585
(pp. [67]-82)
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Tasso 1585a
= Torquato Tasso, Aggiunta alle Rime et Prose del Sig. Torquato Tasso, In Venetia, presso Aldo, 1585
- Edizione di riferimento
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Tasso 1875
= Torquato Tasso, Le prose diverse di Torquato Tasso nuovamente raccolte ed emendate da Cesare Guasti, Firenze, Successori Le Monnier, 1875
(vol. II, pp. 151-165)
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Tasso 1875
= Torquato Tasso, Le prose diverse di Torquato Tasso nuovamente raccolte ed emendate da Cesare Guasti, Firenze, Successori Le Monnier, 1875
- Bibliografia
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Resta 1957
= Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957
(p. 73)
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Minesi 1984
= Emanuela Minesi, Indagine critico-testuale e bibliografica sulle Prose diverse di T. Tasso, in «Studi tassiani», XXXII, 1984, pp. 123-146
(pp. 145-146)
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Gigante 1996
= Claudio Gigante, «Vincer pariemi più sé stessa antica»: la Gerusalemme conquistata nel mondo poetico di Torquato Tasso, Napoli, Bibliopolis, 1996
(pp. 92-98)
- Russo 1998b = Emilio Russo, Una lettera di Torquato Tasso sull’ordine, in «La Cultura», XXXVI, 3, 1998, pp. 449-468
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Gigante 2007
= Claudio Gigante, Tasso, Roma, Salerno, 2007
(pp. 262-263)
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Resta 1957
= Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957
- Risorse correlate
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- 3 lettere di Tasso in cui l'opera è citata