Lettera n. 14

Mittente
Tasso, Torquato
Destinatario
Contrari, Ercole
Data
[1572]
Luogo di partenza
[Parigi]
Luogo di arrivo
Ferrara
Lingua
italiano
Incipit
Mi pregate, molto illustre signor conte
Regesto

Su invito del capitano delle guardie ducali Ercole de’ Contrari, al quale si sono aggiunte le sollecitazioni del «signor Ascanio» (da identificare forse con il Giraldini), Tasso compone un lungo parere relativo ai luoghi e alle usanze francesi, motivando il proprio giudizio in base al confronto con l’Italia.

Nel lungo proemio esordiale Tasso usa le consuete giustificazioni di modestia, discutendo sia la scelta di fare un paragone sia la propria inadeguatezza in termini di esperienza e di abilità letteraria. Il confronto si apre con la considerazione delle caratteristiche ambientali di un territorio (le cose «naturali», ossia il cielo, il sito e la fertilità del suolo), poste in relazione all’impatto sugli abitanti secondo l’approccio adottato da Platone nelle Leggi (IV, 704 A-707 E). Nel seguire questo criterio Tasso afferma però di voler uscire dagli schematismi platonici, che impongono la preferenza dei paesi poco produttivi ai fertili e dei luoghi montuosi ai marittimi. Il poeta non intende neanche mettere in discussione l’importanza della vicinanza del mare a una città, come fa Aristotele nella Politica (VII, 1327a-1327b), ma invece vuole discorrere del tema prescelto da «uomo di corte e di mondo», senza ambizioni speculative, pur con l’intarsio di concetti filosofici diffusi nell’opinione comune.

Con l’obiettivo dunque di non trattare della perfetta forma di governo ma di cercare la migliore forma di espansione per un paese, Tasso traccia i confini geografici della Francia facendoli coincidere con l’estensione del dominio del re. Seguendo da vicino lo stesso passo della Politica (VII, 1327b), Tasso si sofferma sull’influenza che hanno i diversi climi terrestri sulle caratteristiche e sullo sviluppo delle popolazioni umane, osservando che l’Italia – trovandosi in una zona mediana tra il polo e l’equatore – si trova in una posizione migliore rispetto alla Francia per produrre uomini di ingegno, prudenti e adatti alle armi. Dopo aver provato che la temperatura in Francia è più rigida, facendo ricorso anche ad immagini poetiche – come quella della grotta dei venti di Eolo (Virgilio, Eneide, I 52-54) o dell’otre di Ulisse (Omero, Odissea, X 19-22) –, Tasso sottolinea come l’abbondanza dei venti sia da un lato un segno di incostanza del popolo francese, dall’altro un vantaggio per il suo territorio, consentendo l’istallazione di mulini.

In seguito, con attenzione a non superare i limiti pur sempre ristretti di una lettera-trattato, Tasso affronta con rapidità gli effetti del clima sulla salute, bellezza, robustezza e agilità. In questi ambiti sono osservate la longevità degli italiani e la superiore bellezza nell’incarnato dei francesi – specie nelle donne –; mentre, nonostante le narrazioni di Cesare (De bello Gallico, II, 30, 4) e di Polibio (Storie, II, 14, 29) esaltino la corporatura dei Galli, il vigore del corpo è detto uguale tra i due popoli, salvo per l’estrema sottigliezza di gambe propria dei giovani aristocratici francesi per l’abitudine di andare a cavallo.

Il discorso prosegue considerando la rilevanza del territorio per la vita degli abitanti, in primo luogo sotto l’aspetto dell’utilità, al quale pertengono la produzione (coltivazione e allevamento) e la collocazione in un punto strategico, sia per la difesa sia per l’offesa militare e per il commercio. Tasso introduce anche in questi campi alcuni giudizi personali, ad esempio nel valutare il pregio dei vini italiani, «dolci e raspanti». Più aderenti alla dimensione fisica dei territori, invece, sono le notazioni sulla maggiore navigabilità dei fiumi francesi e sulle difese naturali che rendono la penisola italiana più protetta. Proprio la varietà del paesaggio italiano comporta che gli abitanti combinino un temperamento mansueto con la ferocia e l’operosità, mentre l’origine della viltà del popolo francese, con esclusione dell’aristocrazia guerriera, è rintracciata nella prevalenza della pianura. Anche nella possibilità di espansione territoriale e commerciale l’Italia, proiettata verso due altri continenti – l’Africa e l’Asia –, è considerata come nettamente privilegiata rispetto alla Francia, circondata da popolazioni bellicose, i germani e gli inglesi, contro le quali si era confrontato già Cesare (De bello Gallico, IV, 17; V, 4 e sgg.; VI, 24).

Nel passare a discorrere della bellezza dei due paesi, Tasso nota il carattere spoglio del territorio francese e la sua omogeneità paragonandolo a pitture monocromatiche. In questo modo anche le regioni considerate più belle in Francia, la Lorena e la Provenza, cedono alle meraviglie della riviera tirrenica, specialmente nel tratto della costiera campana, luogo da sempre favoleggiato dai poeti. E proprio in stile poetico, entro una prospettiva che dal particolare volge al generale, Tasso propone l’immagine dell’Italia come «picciolo ritratto de l’universo», lembo di terra nel quale si scorge l’unità del molteplice.

L’ultima sezione della lettera è dedicata a un confronto tra i due paesi negli aspetti accidentali, in continua evoluzione e cambiamento. Tasso si concentra nel considerare dapprima la struttura delle case private francesi, nella quale spiccano le vorticose scale a chiocciola, poi la maestosità delle chiese d’oltralpe – seppure segnate dall’architettura barbara, cioè gotica – e delle loro vetrate; anche se nell’opinione tassiana il Duomo di Milano da solo supera le chiese francesi e anche Notre-Dame a Parigi. Proprio la capitale del regno francese è paragonata a Venezia, unica tra le città italiane a tenerle testa.

In chiusura, Tasso parla di tre discutibili usanze francesi: l’abitudine di nutrire i bambini con «latte di vacca», meno tollerabile del nutrimento favoleggiato per Achille (Stazio, Achilleide, II, 96-100) e Ruggiero (Boiardo, Innamoramento d’Orlando, II, I, 74; Ariosto, Orlando furioso, VII 57), quella dei nobili di abitare lontano dalle città e infine il disinteresse della classe aristocratica verso la pratica della filosofia che arriva a perdere il suo ruolo di guida nell’indagine delle ragione delle cose, così come aveva osservato Platone nella Repubblica. Su questa ultima memoria letteraria si chiude il lungo parere tassiano, scritto «tumulturiamente ne’ disagi de la corte di Francia».

Testimoni
  • Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 1743, lettera n. 1, cc. 174r-186r
    Copia, manoscritto di altra mano.
    Manoscritto.
    Indirizzo presente.
    Note: Secondo Gianvito Resta (1957b, p. 72) la lezione del ms. è più scorretta di quella della tradizione a stampa.
Edizioni
Bibliografia
  • Serassi 1790 = Pietrantonio Serassi, Vita di Torquato Tasso, Bergamo, Locatelli, 1790, I, pp. 178-180
  • Solerti 1892 = Angelo Solerti, Appendice alle Opere in prosa di Torquato Tasso, Firenze, Successori Le Monnier, 1892, pp. 72; 74
  • Solerti 1895 = Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Milano-Roma, Loescher, 1895, I, pp. 149-150
  • Resta 1957b = Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957, pp. 70-72; 74-75; 112-113, n. 7
  • Gigante 2007 = Claudio Gigante, Tasso, Roma, Salerno, 2007, pp. 23-24
Opere citate

Lettera nella quale paragona l’Italia alla Francia

Nomi citati

Scheda di Valentina Leone | Ultima modifica: 15 febbraio 2024
Permalink: https://www.torquatotasso.org/lettere/14