XLI [V 17, G 64]

A Luca Scalabrino

[1] Ho visto quanto mi scrivete dell’opinione del signor Flaminio e del Signore circa gli episodii de’ successi de’ sei anni precedenti. [2] In somma, io persisto in sententia che in nissun modo, per nissuna regola dell’arte, per nissun essempio di buon poeta sia lecito di tardare a far questo racconto sino all’ottavo canto: e, non potendosi far prima, credo che sia meglio a lasciarlo. [3] Et oltra a tutte le ragioni dette da me nell’altre mie lettere, aggiungo questa, che la persona di Carlo mi pare poco opportuna; peroché Carlo vien d’Europa, ove si dee presupporre notissima la cagione della guerra e l’adunanza de’ principi fatta in Chiaramonte. È stato in Costantinopoli, ove e dall’imperatore, come se ne fa menzione nell’ottavo canto, e [dal] messaggiero di Goffredo è verisimile, e quasi necessario, ch’abbia tutto ciò che gli può esser detto da Goffredo: et in vano andò quell’ambasciador di Goffredo, se doveva star mutolo. [4] Che a me la pittura non paia alquanto prestetta, non dirò; perché certo io la vorrei anzi nel fine del primo o nel secondo canto che in quel luogo. Ma sì come nel secondo non v’è luogo per la pittura, così, doppo che s’è cominciato a menar le mani, non mi par che si possa o si debba introdurre il racconto.

[5] Un altro rimedio m’è sovvenuto; il qual se non piace, ritorno alla pittura: e se né la pittura né questo è approvato, seguirò più tosto l’opinion del Barga, della qual per se stessa non mi sodisfaccio molto. Il rimedio è questo. [6] Co’ cristiani cacciati da Gierusalemme esce fuora (e questo è anco detto dall’istoria) il patriarca di Gieruslemme, uomo valoroso e di santissima vita. Avea già deliberato di dire alcuna cosa d’avantaggio circa l’arrivo de’ fedeli cacciati nel campo, del quale è necessario parlare. Ora Goffredo riceverà e consolarà costoro; e narrerà, pregato dal patriarca, la prima origine del lor passaggio e le cose più principali fatte nell’Asia. [7] E sì come si può molto ben presupporre che ’l patriarca sia ignaro di quelle cose, delle quali è forza che Carlo abbia notizia; così la dignità sua è tale, che merita che da Goffredo gli sia fatto questo ragionamento. [8] Sarà fatto nel secondo canto, il qual luogo mi pare il più opportuno che si possa ritrovare. E la venuta d’Alete e d’Argante si trasferirà nel terzo.

[9] A quel che dicono contra, che non pare ex arte che si narrin prima le cose fatte prima, risponde Aristotele e l’uso di tutti i poeti. Ma io non mi credea che questa opinione de i grammatici, cavata da alcune parole d’Orazio, fosse più in rerum natura , dapoiché s’è comincio a vedere Aristotele.

[10] All’altra opposizione, che la favola non è anco introdotta, assai mi pare introdotta la favola, se ben anco l’essercito non è sotto la città, quando si sono già dette le cause della guerra e tutti gli apparecchi d’essa guerra dell’una parte e dell’altra; e quando il campo è già nel territorio di Gierusalemme. Benché si potrebbe dire che queste opposizioni fossero fatte alla pittura, ch’era messa alquanto prima.

[11] Ma tre dubbi restano a me in questo racconto di Goffredo al patriarca: l’uno, che tutto questo canto secondo si leggerà con poco diletto; et a questa difficultà non veggio come poter rimediare: l’altro è che le vittorie non possono esser magnificate, né ricever alcun ornamento dalla bocca del vincitore. [12] Ma a questa credo di rimediare, introducendo Goffredo or piamente a riconoscere tutte le vittorie dall’aiuto divino et a magnificar la providenza di Dio e talor modestamente tacer di se stesso e lodare i compagni. L’ultima difficoltà è che dubito che la narrazione non sia per riuscire alquanto nuda e stretta; ma di questa giudicarei nel fatto. E se la Musa spirasse, se ne potrebbe sperare non tutto male. [13] Il canto riuscirebbe lungo: vorrei nondimeno che la narrazione fornisse col fin del canto. [14] Or mettete questa lettera, o ’l contenuto d’essa, in consulta; et avisatemi qual sia tenuto l’ottimo consiglio: o il lasciar a fatto l’episodio (il che non credo né stimo), o introdurlo con la pittura, e con Erminia, o pur co ’l ragionamento di Goffredo al patriarca.

[15] Di Carlo, in quanto a me, son risoluto, se nuova e più potente ragione non mi facesse risolvere in contrario.

[16] I miracoli di quello amico dubito che, se saranno in tutto conformi a i precedenti, troveranno il mio core indurato, né potranno convertirlo in tutto all’idolatria omerica. E vi bacio le mani.