Alle signore principesse di Ferrara

Insieme editoriale: Rime

Alla fine degli anni Settanta, in un momento particolarmente tormentato della propria esistenza, Torquato Tasso allestisce una silloge lirica indirizzata «Alle Signore Principesse di Ferrara», composta da una sessantina di componimenti, prevalentemente d’encomio. La raccolta, conservata in un manoscritto autografo della Biblioteca Ariostea di Ferrara (ms. Classe II 473, comunemente siglato F1), è a tutti gli effetti da intendere come un canzoniere, confezionato dall’autore in persona con l’intenzione di donarlo alle sorelle del duca Alfonso II. Le destinatarie, a cui il poeta si rivolge nella breve epistola dedicatoria, sono Lucrezia e Leonora d’Este, figure care a Torquato fin dagli anni Sessanta. Per entrambe il poeta scrisse altri versi d’occasione: a Leonora una canzone d’auspicata guarigione, inclusa fra le Rime degli Accademici Eterei del 1567 (Tasso 2013b, n. 42); a Lucrezia, per il suo matrimonio con Francesco Maria Della Rovere, nel 1570, una piccola serie epitalamica (Rime nn. 536-538). È nella stessa circostanza che Tasso diede anche pubblica lettura delle sue cinquanta Conclusioni amorose, poi rievocate ne Il Cataneo overo de le Conclusioni amorose (1588 ca.).

Il libro di rime, contraddistinto da un’ansiosa reverenza, ricorre a un’architettura sapiente che non segue un ordinamento cronologico-narrativo; al contrario, attraverso una «disposizione dei testi che determina una progressione tematica verso il centro della silloge» (Scattola 2020, p. 111), gli interlocutori tassiani si susseguono in una galleria encomiastica che sembra trovare il suo naturale punto di arrivo in Alfonso II d’Este (nn. 24-28, 31, 40-41, 44). Tasso confidava proprio nell’intercessione delle principesse per recuperare il proprio rapporto con il duca, in quegli anni compromesso da un insieme di contrasti. Non a caso, l’elogio dei protettori e la devota fedeltà alla casata costituiscono i temi portanti di gran parte delle liriche. Nel canzoniere, l’io dà voce a un’articolata supplica celebrativa che ha il suo fine principale nella manifestazione di lealtà verso l’intera famiglia estense, qui evocata nella pluralità dei suoi soggetti. Oltre ai tre sonetti per gli «Heroi di Casa d’Este» (nn. 30, 42-43), si annoverano rime in lode anche di altri esponenti della famiglia – Marfisa (nn. 1, 10), Maria di Savoia, moglie di Filippo d’Este (n. 14), il cardinale Luigi (n. 15), Lucrezia (n. 16), Alfonso I (nn. 41, 44), Ercole II (n. 41) – nonché in omaggio alla tomba, o a pubblici monumenti di componenti della casata ormai scomparsi: di Alfonso I (nn. 35-36), di Ercole I (nn. 37-38) e del cardinale Ippolito I (n. 39). Fra i vari componimenti esplicitamente indirizzati alle sorelle d’Este (nn. 1, 12, 16-17, 20-21, 52, 56, 61), sono particolarmente degne di nota due canzoni: la mesta O figlie di Renata (n. 21) e, in posizione di chiusura, Già il lieto anno novello (n. 61), nella quale il «clima di conciliazione universale e trionfo primaverile dell’amore» (Residori 2011, p. 29) approda nella preghiera di potersi riconciliare con la corte ferrarese.

Il volume omaggia anche altre figure significative per la biografia tassiana, quali Vincenzo Gonzaga (n. 13), futuro duca di Mantova, e l’amico Scipione Gonzaga (n. 51). Spiccano altresì testi di soggetto partenopeo: oltre al componimento per il poeta Ferrante Carrafa (n. 4), Tasso si rivolge alla città di Napoli in tre sonetti (nn. 45-47), occasione preziosa per omaggiare le proprie origini campane e ribadire nuovamente il proprio auspicio affinché il duca di Ferrara lo riammetta nelle proprie grazie. Infine, sono da segnalare i versi in lode della regina di Francia (n. 11) e il dittico per Carlo V (nn. 48-49), a cui fa seguito un sonetto per Barbara d’Austria (n. 50), prima moglie del duca Alfonso II, morta nel 1572. L’ossequio alla famiglia d’Asburgo deve essere interpretato, ancora una volta, in chiave estense. Tasso intende sottolineare soprattutto il legame matrimoniale di Alfonso II con la prestigiosa casata asburgica, accennando anche al fatto che, alla morte di papa Leone X, il duca Alfonso I aveva già provato, invano, a rivendicare una consanguineità con gli Asburgo (Tasso 1995c, pp. 127-128).

Una delle più significative peculiarità della raccolta è l’impiego ricorrente di riferimenti classici, con un debito soprattutto nei confronti di Ovidio, alle cui sorti il poeta pare associarsi in virtù di un comune allontanamento forzato dal proprio mecenate. Oltre ad attingere a piene mani all’ipotesto ovidiano, in particolar modo dai Tristia (su questo si veda Granata 1999), Tasso condivide con il poeta latino un sapiente rispecchiamento autobiografico nella mitologia classica. In questa prospettiva, il poeta si identifica via via con: Apollo, tormentato da Giove (n. 4); Fetonte, castigato per i suoi eccessi di ambizione (nn. 4, 15-16); Polissena, ingiustamente condannata a morte per assecondare la volontà dell’amato (n. 19); Issione, punito per la propria ingratitudine (n. 25); Ulisse, alla costante ricerca di ristoro (n. 54); e Achille, a cui è ingiustamente precluso «l’arringo» della gloria (n. 61). Infatti, «Tasso si appropria delle immagini mitiche attraverso un’interpretazione ingegnosa che ne privilegia una valenza particolare ma al tempo stesso lascia sussistere un alone di ambiguità: grazie al mito l’autobiografia poetica può dunque suggerire anche ciò che non è apertamente dicibile» (Residori 2011, p. 33). Tracce del serrato dialogo tassiano con i classici affiorano pure nei testi amorosi per destinatari femminili anonimi, talvolta connotati da una certa audacia erotica (nn. 2, 6, 9), come nel caso del sonetto Viviamo, amianci, o mia gradita Ielle (n. 6), nella cui filigrana è agilmente riconoscibile la memoria di Vivamus mea Lesbia atque amemus (Catullo Carm. 5).

Struttura

Serie lineare di sessantuno componimenti, così articolati: cinquantatré sonetti (nn. 1-6, 9, 11-13, 15-19, 22, 23-59), due madrigali (nn. 7-8), una serie di dieci ottave (n. 60) e cinque canzoni (nn. 10, 14, 20-21, 61).

Storia del testo

L’allestimento della silloge per le Principesse di Ferrara si inscrive in una fase particolarmente dolorosa della vita del poeta, come ammette lui stesso fin dalle prime righe dell’epistola dedicatoria: «queste rime composte da me in quest’ultimi anni delle mie infelicità» (p. 17). Probabilmente l’autore si riferisce al periodo compreso tra il 1575 e il 1578 (Tasso 1995c, pp. 118-130): sempre più in conflitto con la corte estense e ormai smarrito nel vortice della propria angoscia, nel giro di pochi anni, Tasso si autodenuncia all’Inquisizione, senza trarre alcun conforto dalla propria assoluzione, e arriva ad assalire un servitore della corte estense, ragione per cui nel 1577 viene rinchiuso per qualche giorno nel cortile del Castello di Ferrara. A quel punto, i rapporti già tesi con la corte d’Este naufragano del tutto. Dopo una fuga in Campania dalla sorella Cornelia e un vano tentativo di trovare nuovi protettori, nel 1579 Tasso ritornò a Ferrara, in occasione del matrimonio tra Alfonso II e la giovane Margherita Gonzaga. Proprio in questa circostanza, Torquato insultò pubblicamente il duca, che ne ordinò l’arresto e la reclusione al Sant’Anna.

Queste sono le coordinate in cui prese forma il codice ferrarese, la cui preparazione si deve collocare tra il 1579 e il 1580, in corrispondenza con i primi mesi della sua prigionia. Risulta difficile essere più precisi poiché la lettera di dedica del manoscritto ferrarese non è datata: Luciano Capra la fa risalire al 1579 (Tasso 1995c, pp. 122-123), mentre Angelo Solerti al primo maggio 1580 (Solerti 1895, p. 346). Al di là del momento esatto del suo confezionamento, il canzoniere ospita componimenti redatti anche negli immediati anni precedenti. Ad esempio, alcuni riferimenti del sonetto Nel tuo petto real da voci sparte (n. 11), per la regina di Francia Caterina de’ Medici, suggeriscono una composizione anteriore al 1574; le dieci ottave della Gelosia (n. 60) presentano invece punti di contatto con il Discorso sopra la Gelosia, recitato da Tasso a Modena all’inizio del 1577; mentre i sonetti alla città di Napoli (nn. 45-47) e il trittico di ambientazione partenopea (nn. 57-59) furono verosimilmente composti da Tasso durante la sua fuga a Sorrento, nell’autunno del 1577 (per le ipotesi di datazione si rimanda all’edizione Tasso1995c).

Il testimone principale della silloge coincide con il manoscritto autografo ferrarese F1, minuziosamente descritto in Ranzani 2003, pp. 569-572. Si tratta di un codice dall’ordinamento arioso e di pregevole cura calligrafica, sebbene non manchino alcune sviste, solo parzialmente sanate dall’autore. La mano è principalmente tassiana, ma rimangono alcuni dubbi sull’autografia integrale (Russo 2022, p. 379). Per esempio, a c. 4r, il sonetto Non ho sì caro il nodo ond’al consorte (n. 5) è certamente autografo solo fino al v. 7 (Ranzani 2003, p. 569). Inoltre, si devono segnalare alcune lacune: le cc. 5v e 6r, bianche, lasciano spazio «per due sonetti de’ baci», come precisa una nota autografa di Tasso; allo stesso modo, l’epitalamio per Marfisa d’Este, Già il notturno sereno (n. 10), probabilmente redatto in concomitanza delle sue nozze con Alfonsino d’Este, avvenute nel giugno del 1578, si interrompe bruscamente al v. 45. Della raccolta esiste anche un altro testimone manoscritto, copia diretta di F1 (Ranzani 2003, pp. 572-573). Si tratta di un codice attualmente irreperibile, noto agli studi con la sigla di Pt e forse da assegnare alla mano di Giulio Mosti, giovane priore che, proprio durante gli anni della reclusione di Tasso a Sant’Anna, aiutò il poeta nella copia di materiale manoscritto ed epistolare.

La raccolta non andò in stampa. Secondo Matteo Residori (2011, p. 35 n. 33), il poeta si sarebbe riferito proprio a questa silloge quando, in una lettera all’amico Scipione Gonzaga del settembre 1580, arrivò a giudicare alcuni dei suoi versi come «usciti da le mani ne la mia pazzia, i quali per migliaia di scudi non vorrei che si vedessero» (Lettere n. 136, vol. II, pp. 95-96). Tuttavia, contrariamente a quest’auspicio, tutti i componimenti del manoscritto ferrarese, talvolta solo lievemente ritoccati o con varianti più consistenti, confluirono nei due volumi di Rime pubblicati da Aldo Manuzio il Giovane a Venezia, tra il 1581 e il 1582, e continuarono a circolare anche nelle successive stampe degli anni Ottanta. Più o meno nello stesso periodo, alcuni testi amorosi furono recuperati da Tasso nel codice autografo Chigiano L VIII 302 (nn. 1-2, 5-6, 9, 23) e nella Prima parte delle Rime (nn. 2, 5, 13, 23, 56, 60), edita a Mantova 1591: il primo, approntato tra il 1583 e il 1584, rappresenta il primo tentativo dell’autore di ordinare le proprie poesie amorose in un canzoniere organico, il secondo la definitiva raccolta delle liriche amorose tassiane. Parimenti, un folto gruppo di componimenti (nn. 18, 27-28, 30-31, 35-41, 43-45, 49, 51) trova riscontro, seppur con significative varianti redazionali, nel ms. Vat. Lat. 10980, che ospita il progetto tassiano, rimasto inedito, di un ulteriore volume di rime encomiastiche.

Le rime per le Principesse di Ferrara godettero di una certa fortuna ottocentesca, grazie alla loro parziale inclusione nella Vita di Torquato Tasso di Giovanni Battista Manso, che se ne servì in chiave biografica, quasi romanzesca.

Date di elaborazione

1574-1580


Testimoni manoscritti
  • II. 473 • Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea

Edizione di riferimento
  • Tasso 1995c = Torquato Tasso, Alle signore principesse di Ferrara, ripasso del quaderno autografo a cura di Luciano Capra, Ferrara, Corbo, 1995

Bibliografia
  • Solerti 1895 = Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895
  • Granata 1999 = Carlo Gardenio Granata, Memorie dei “Tristia” ovidiani nel quaderno autografo di rime del 1578, in Il merito e la cortesia. Torquato Tasso e la Corte dei Della Rovere, Guido Arbizzoni, Giorgio Cerboni Baiardi, Tiziana Mattioli e Anna T. Ossani, Ancona, Il lavoro editoriale, 1999, pp. 193-215.
  • Ranzani 2003 = Claudia Ranzani, Due testimoni delle rime alle principesse di Ferrara, in Sul Tasso. Studi di filologia e letteratura italiana offerti a Luigi Poma, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2003, pp. 569-588
  • Residori 2011 = Matteo Residori, Teoria e prassi dell’encomio nel Tasso lirico, in Forme e occasioni dell’Encomio tra Cinque e Seicento, a cura di Danielle Boillet e Liliana Grassi, Pisa, Pacini Fazzi, 2011, pp. 19-49
  • Scattola 2020 = Anna Scattola, «Alle Signore Principesse di Ferrara»: un canzoniere encomiastico di Torquato Tasso, in «Studi tassiani», LXVIII, 2020, pp. 97-112
  • Russo 2022 = Emilio Russo, Torquato Tasso, in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento. III, a cura di Matteo Motolese, Paolo Procaccioli, Emilio Russo (con la consulenza paleografica di Antonio Ciaralli), Roma, Salerno, 2022

Risorse correlate
Edizione del testo in preparazione

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