Lettera n. 909

Tasso scrive a don Prospero Ghisolfi, abate mantovano, che se avesse fatto per lui tanti servigi quanti i suoi meriti richiederebbero, adesso avrebbe più fede nella sua servitù che nella sua cortesia vero di lui: Tasso gli chiede che si accontenti di fargli grazia. Confessa di essere febbricitante, tuttavia non in maniera così grave da non poter sostenere un viaggio: il poeta vorrebbe sostare un paio di giorni presso il monastero di San Benedetto, qualora gli fosse necessario, e come informerà Padre don Salvatore e il Padre «cellerario», di non chiara identificazione. Tasso ha voluto tuttavia avvisare Ghisolfi per primo, non perché la visita di un suo «pari» possa cogliere l’abate impreparato, quanto per sua «sodisfazione». Tasso avrebbe profondo desiderio di visitare finalmente questo «tempio famosissimo e venerabile per antica religione» e ivi di confessarsi. Se non facesse alcuna di queste cose, non crede che potrebbe ripartire con la stima dell’abate e di «Sua Altezza» (forse intende Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova).