Lettera n. 1074

Qualunque attività è per Tasso estremamente gravosa: il poeta non basta a sé stesso, e per questo non è strano che non sia utile agli altri. Tasso non può inviare quello che l'amico gli chiede (Rime 1425?), e lo farà in una settimana circa, pur sapendo che forse allora sarà troppo tardi. Il dubbio maggiore è quello della grazia di «Sua Santità» (Sisto V), che potrebbe offendersi per essere citato da Tasso in «così piccioli componimenti», ma Tasso non è in grado di scriverne di lunghi. Sarebbe dunque stato meglio non lodarlo affatto, perché i componimenti che il poeta gli ha dedicato sono sproporzionati rispetto al suo merito, e tuttavia pari alle sue forze, interiori e fisiche, che sono scarse. Questo è uno dei motivi per cui Tasso non vuole recarsi a Venezia, cui se ne aggiungono altri, che Tasso ha esposto nell'ultima missiva: se la corte non vorrà giovare a una persona malata e oziosa, la città di Napoli non lo dovrà scacciare, qualora tornasse. Pensa comunque a qualche soddisfazione, come consolazione per i molti disagi e malinconie. Rammaricato per il soggiorno veneziano dell'amico, lo ringrazia per aver impedito che le sue Rime fossero divulgate. Dovrà farlo di nuovo con monsignor Nunzio, con l'Inquisitore, con il doge serenissimo, e dovrà domandare i privilegi per tutte le opere di Tasso, se lo ritiene opportuno. Tasso scriverà la settimana successiva, e chiede se l'Inquisitore sia il frate Eliseo de Lapis. Non ha avuto risposta ad una lettera scritta al padre fra Giovan Battista da Lugo, da cui voleva essere consolato. Infastidirà spesso Claudio Angelini, sempre con il permesso del Costantini; non sa se sia eccessivo chiedere all'Angelini delle medicine, perché nel Palazzo non solo vive il medico, ma anche lo speziale.