Lettera n. 133

Mittente
Tasso, Torquato
Destinatario
Boncompagni, Giacomo
Data
17 maggio 1580
Luogo di partenza
Ospedale di Sant'Anna (Ferrara)
Luogo di arrivo
Roma
Lingua
italiano
Incipit
Sarà dunque vero che i duo Soli sensibili, che del gran Sole intellegibile
Regesto

Tasso, prigioniero all'ospedale di Sant'Anna, scrive a Giacomo Buoncompagni, nipote del pontefice Gregorio XIII (nato Ugo Buoncompagni), una lunga lettera di carattere religioso. La missiva si apre con la celebre metafora dei due soli che governano l’uno il mondo terreno, l’altro il mondo celeste: il poeta allude cioè all’Imperatore e al Papa, che lo stanno rispettivamente escludendo dal consorzio umano e privando della comunione. Se le preghiere del Tasso sembrano inascoltate alla clemenza di entrambi, almeno dovrebbero essere udite dal duca di Ferrara Alfonso II, di cui il poeta vorrebbe il favore. Tasso chiede dunque al corrispondente che informi il duca della verità relativa alla sua fede, aprendo così un lungo discorso filosofico-teologico che recupera il colloquio avuto da Tasso con un inquisitore a Bologna, presentatosi volontariamente davanti al Sant'Uffizio. Il poeta scrive che potrebbe ben difendersi dalle accuse di eterodossia con le più varie giustificazioni, e decide ora di esporre le sue motivazioni con chiarezza e puntualità. Innanzitutto, dichiara di aver avuto opinioni non esattamente ortodosse («come filosofo era stato dubbio ne l'immortalità de l'nima, ne la creazion del mondo, in alcune altre cose [...]») e idee di luteranesimo ed ebraismo, senza però aver mai avuto reale fede nell'una come nell'altra. Secondariamente, «aveva avuta opinione» che i suoi accusatori siano Luca Scalabrino, suo corrispondente e amico ferrarese, e l'ebreo Ascanio Giraldini, servitore del duca di Ferrara: non essendone certo, Tasso non si è premurato di difendersi dalle accuse che suppone provengano da loro. Il poeta allude poi a contrasti con Luigi d’Este, cardinale estense fratello di Alfonso II. Ricorda di quando (febbraio 1579) era stato chiamato a Ferrara dal cardinale Giovan Gerolamo Albani, che aveva informato Tasso dell’inclinazione del cardinale Luigi verso di lui; dal quale Luigi il poeta si sarebbe potuto aspettare persino di più che da Alfonso II o dal cardinale Ferdinando de' Medici. Arrivato in città, Tasso scrive di essere stato accolto dai dipendenti del cardinale stesso e di aver visto sfumare ogni promessa che pareva essergli stata garantita dall’Albani, venendo poi imprigionato nell’ospedale di Sant’Anna. Tasso si lamenta persino di Agostino Mosti, priore della struttura, descritto come gentiluomo di fervente fede cattolica ma di atteggiamento molto rigido, evidentemente in seguito alle dure disposizioni ricevute dagli estensi. I disagi che il poeta deve fronteggiare sono sia di tipo fisico che, soprattutto, spirituale: Tasso ricorda di essere cresciuto con i gesuiti e di aver ricevuto la comunione a nove anni, non avendo ancora cognizione del fatto che l’ostia fosse il corpo di Cristo ma pervaso da un sentimento inspiegabile di gioia e devozione: quella stessa comunione che ora gli viene negata. Ribadendo la sua fede, quanto sia «lontano da gli errori de gli empi, ed insieme quanto per l'addietro ci fossi poso inclinato» e avendo risolto quelle che parvero delle contraddizioni, Tasso chiude la missiva pregando il Buoncompagni di riferire i contenuti esposti al duca di Ferrara, cercando il suo favore e la sua grazia.

Testimoni
  • Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai e Archivi storici comunali, Cass. 6.15, lettera n. 186, 159r-163r
    Copia, manoscritto di altra mano.
    Unità di manoscritto composito.
    Indirizzo presente.
    Note: A c. 163r, nell'angolo inferiore sinistro, è presente l'annotazione: «Di me Giulio Mosti». A c. 163v è presente l'indirizzo: «All'Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Marchese Buoncompagno General di Sana Chiesa».
  • Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Palatino 223, lettera n. 15, cc. 24-37
    Copia, manoscritto di altra mano.
    Manoscritto.
    Lettera firmata, indirizzo presente.
    Note: Alla c. 26, «di porgere», con i sopras. a lez. precedente in funzione correttoria; «verità medesima» con «stessa» in interlinea al di sopra di «medesima». Alla c. 28, «di vero» con «di» raddoppiato, che si legge già alla c.27. Alla c.29, all’altezza di Luca Scalabrino, sul margine destro si nota una manicula. Alla c.29, «fatte» è seguito da un asterisco che rinvia a una nota al margine sinistro: «forse manca la parola materie»; «materie» è sottolineato”. Alla c.30, il passaggio da «E se poi contra” a «ch’io abbia della bontà» è evidenziato in rosso lateralmente sul margine sinistro. Alla c.33, sul margine destro, all’altezza di «Prior qui dello spedale» si nota una manicula; «persona» viene ripetuto due volte di seguito. Alla c.34, all’altezza di «no mi voglia cattolico» sul margine sinsitro si nota una manicula; «vana» per corr. su «umana». Alla c.35, all’altezza di «era cresciuto di corpo» sul margine destro si nota una manicula; all’altezza di «le vidde raccogliere» sul margine destro si legge: «sic». Alla c.36, «per sua natura» con «sua» agg. in interlinea e segnalata tramite spunta. Alla c.37, «niuna» per corr. su «diuna».
  • Roma, Biblioteca nazionale centrale, V. E. 207, lettera n. 47, 40r-54r
    Copia, manoscritto di altra mano.
    Manoscritto.
Edizioni
Bibliografia
  • Solerti 1892 = Angelo Solerti, Appendice alle Opere in prosa di Torquato Tasso, Firenze, Successori Le Monnier, 1892, p. 458
  • Resta 1957b = Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957, pp. 176, 203
Nomi citati

Scheda di Martina Caterino | Ultima modifica: 16 febbraio 2024
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