I [G 20]
A Scipione Gonzaga
[1] Ho ricevuto l’ultime di Vostra Signoria de i sette di marzo, con lo scattolino; e ne la ringrazio. Il mio sospetto è nel termine ch’io le scrissi per l’altra mia. [2] Sono in grandissima ansietà d’animo, vedendo che Vostra Signoria non m’accusa la ricevuta de’ quattro primi canti ch’io le mandai da Ferrara il 2 di quaresima, né meno la ricevuta del quinto ch’io le mandai da Padova quindici giorni sono; [3] né risponde ad alcune mie lettere che vennero co i canti, di molta importanza: di maniera che stimo ch’ogni cosa sia mal capitata, almeno que’ primi; nella perdita de’ quali, oltre la fatica del trascrivere e ’l dispiacere ch’avrei che fossero in mano d’altri, vi sarebbe il danno di molte correzioni, delle quali non ritenni copia; e non me ne ricordo. [4] Io gl’indirizzai al Lamberto, consignandoli a suo fratello. Parli con lui e ’l preghi in mio nome che faccia tutta quella diligenza che sarà possibile in sì fatto caso.
[5] In quanto al quinto canto, vivo in alcuna speranza che possa esser comparso dopo ch’ella m’ebbe scritto. Però non replicherò quello che si conteneva nella lettera alligata, sin che Vostra Signoria non mi certifichi stesso ancora si sia smarrito. Io avevo il sesto apparecchiato per mandarlo con questo ordinario; ma mi son risoluto di ritenerlo sin a tanto ch’abbia nuova de gli altri; ché non vorrei che tutti fessero la medesima strada.
[6] Al particolare del […] abbastanza avrà risposto l’ultima mia lettera, se sarà arrivata.
[7] Verrà a Roma, inanzi Pasqua, messer [Luca Scalabrino], nato d’onorata famiglia; il quale verrà a baciar le mani a Vostra Signoria, desideroso d’esserle servitore. Né dirò a Vostra Signoria ch’egli sia intendentissimo delle leggi e molto avanzatosi ne gli studi d’umanità e di buonissimo gusto nell’eloquenza così poetica come oratoria; perché tutto questo credo ch’ella il conoscerà conversandolo. [8] Le dirò solo due cose, le quali desidero che vagliano tanto appresso Vostra Signoria ch’egli ne sia ricevuto da lei nel numero de’ suoi più intrinsechi. L’una è che, se v’è lealtà e nobiltà d’animo ne gli uomini, è in lui quanto in alcun altro; l’altra, che (trattone Vostra Signoria) è colui ch’io più amo e da cui più sono amato; ond’è ragione che tenga appresso Vostra Signoria quel luogo di servitù che terrei io se fossi a Roma.
[9] È uomo a prima vista assai freddo e niente ostentatore di molte cose che sa; e che in somma ha bisogno anzi di sprone che di freno. Però sia contenta (e conceda questa grazia all’amor che mi porta) di provocarlo talora a quella famigliarità, alla quale non so s’egli da se stesso saprebbe insinuarsi, per molto che ’l desideri. E nel rimanente mi persuado che non gli mancherà in alcuna cosa del suo favore. [10] Egli è informato di ogni mia intenzione e d’ogni mio fastidio, e con lui potrà Vostra Signoria parlar liberamente delle cose mie. Ben è vero che di quest’ultimo particolare del […] vorrei che se ne perdesse a fatto la memoria, perch’io mi sono troppo ingannato e me ne vergogno. E le bacio le mani.