Gerusalemme liberata: canto I

CANTO PRIMO

1
Canto l’arme pietose e ’l Capitano
che ’l gran sepolcro liberò di Christo.
Molto egli oprò co ’l senno e con la mano,
molto soffrì nel glorioso acquisto;
e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano
s’armò d’Asia, e di Libia il popol misto:
che il Ciel li diè favore, e sotto a i santi
segni ridusse i suoi compagni erranti.
2
O Musa, tu, che di caduchi allori
non circondi la fronte in Helicona,
ma su nel Cielo infra i beati chori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s’intesso fregi al ver, s’adorno in parte
d’altri diletti che de’ tuoi le carte.
3
Sai che là corre il mondo ove più versi
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che ’l vero, condito in molli versi,
i più schivi allettando ha persuaso.
Così a l’egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l’inganno suo vita riceve.
4
Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli
al furor di Fortuna e guidi in porto
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l’onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia che la presaga penna
così scriver di te quel ch’or n’accenna.
5
È ben ragion, s’egli averrà che ’n pace
il buon popol di Christo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
cerchi ritor la grande ingiusta preda,
ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace,
l’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.
6
Già il sesto anno volgea, che ’n Oriente
passò il campo Christiano a l’alta impresa;
e Nicea per assalto, e la potente
Antiochia di furto havea già presa.
L’havea poscia in battaglia incontra gente
di Persia innumerabile difesa,
e Tortosa espugnata; indi a la rea
stagion diè loco, e ’l novo anno attendea.
7
E ’l fine homai di quel piovoso verno,
che fe’ l’arme cessar, lunge non era,
quando da l’alto soglio il Padre eterno,
ch’è ne la parte più del Ciel sincera,
e quanto è da le stelle al basso inferno,
tanto è più in su de la stellata spera,
gli occhi giù volse, e in un sol punto e in una
vista mirò ciò che ’n sé il mondo aduna.
8
Mirò tutte le cose, et in Soria,
s’affisò poi ne’ Principi Christiani; ,
e con quel guardo suo ch’a dentro spia,
nel più secreto lor gli affetti humani,
vede Goffredo, che scacciar desia,
da la santa Città gli empi Pagani,
e pien di fé, di zelo ogni mortale,
gloria, imperio, tesor mette in non cale.
9
Ma vede in Balduin cupido ingegno,
ch’a l’humane grandezze intento aspira.
Vede Tancredi haver la vita a sdegno,
tanto un suo vano amor l’ange e martira.
E fondar Boemondo al novo regno
suo d’Antiochia alti principii mira:
e leggi imporre, et introdur costume
et arti e culto di verace Nume.
10
E cotanto internarsi in tal pensiero,
ch’altra impresa non par che più rammenti.
Scorge in Rinaldo et animo guerriero
e spirti di riposo impatienti;
non cupidigia in lui d’oro o d’impero,
ma d’honor brame immoderate ardenti.
Scorge che da la bocca intento pende
di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende.
11
Ma poi c’hebbe di questi e d’altri cori
scorti gli intimi sensi il Re del mondo,
chiama a sé da gli Angelici splendori
Gabriel, che ne’ primi era secondo.
È tra Dio questi e l’anime migliori
interprete fedel, nuntio giocondo.
Giù i decreti del Ciel porta, ed al Cielo
riporta de’ mortali i preghi e ’l zelo.
12
Disse al suo Nuntio Dio. – Goffredo trova,
e in mio nome di’ lui: ‘Perché si cessa?
Perché la guerra homai non si rinova
a liberar Gierusalemme oppressa?’
Chiami i Duci a consiglio, e i tardi mova
a l’alta impresa: ei Capitan fia d’essa.
Io qui l’eleggo, e ’l faran gli altri in terra,
già suoi compagni, hor suoi ministri in guerra. –
13
Così parlogli, e Gabriel s’accinse
veloce ad esseguir l’imposte cose.
La sua forma invisibil d’aria cinse
et al senso mortal la sottopose:
humane membra, aspetto human si finse,
ma di celeste maestà il compose;
tra giovane e fanciullo età confine
prese, et ornò di raggi il biondo crine.
14
Ali bianche vestì, c’han d’or le cime,
infaticabilmente agili e preste.
Fende i venti e le nubi, e va sublime
sovra la terra e sovra ’l mar con queste.
Così vestito, indirizzossi a l’ime
parti del mondo il messaggier celeste.
Pria su ’l Libano monte ei si ritenne,
e si librò su l’adeguate penne.
15
E ver le piaggie di Tortosa poi
drizzò precipitando il volo in giuso.
Sorgeva il novo sol da i lidi Eoi,
parte già fuor, ma il più ne l’onde chiuso;
e porgea matutini i preghi suoi
Goffredo a Dio, com’egli havea per uso,
quando a paro co ’l Sol, ma più lucente,
l’Angelo gli apparì da l’Oriente.
16
E gli disse. – Goffredo, ecco opportuna
già la stagion ch’al guerreggiar s’aspetta.
Perché dunque frapor dimora alcuna
a liberar Gierusalem soggetta?
Tu i Principi a consiglio homai raguna,
tu al fin de l’opra i neghittosi affretta.
Dio per lor duce già t’elegge, et essi
sopporran voluntari a te se stessi.
17
Dio messaggier mi manda: io ti rivelo
la sua mente in suo nome. O quanta spene
haver d’alta vittoria, o quanto zelo
de l’hoste a te commessa hor ti conviene. –
Tacque, e sparito rivolò del Cielo
a le parti più eccelse e più serene.
Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,
d’occhi abbagliato, attonito di core.
18
Ma poi che si riscote, e che discorre
chi venne, chi mandò, che gli fu detto,
se già bramava, hor tutto arde d’imporre
fine a la guerra ond’egli è Duce eletto.
Non che ’l vedersi a gli altri in Ciel preporre
d’aura d’ambition gli gonfi il petto,
ma il suo voler più nel voler s’infiamma
del suo Signor, come favilla in fiamma.
19
Dunque gli Heroi compagni, i quai non lunge
erano sparsi, a ragunarsi invita;
lettere a lettre, e messi a messi aggiunge,
sempre al consiglio è la preghiera unita.
Ciò ch’alma generosa alletta e punge,
ciò che può risvegliar virtù sopita,
tutto par che ritrovi, e in efficace
modo l’adorna sì che sforza e piace.
20
Vennero i duci e gli altri anco seguiro,
e Boemondo sol qui non convenne.
Parte fuor s’attendò, parte nel giro
e tra gli alberghi suoi Tortosa tenne.
I grandi de l’essercito s’uniro
(glorioso Senato) in dì solenne.
Qui il pio Goffredo incominciò fra loro,
augusto in volto et in sermon sonoro:
21
– Guerrier di Dio, ch’a ristorare i danni
de la sua fede il Re del Cielo elesse,
e securi fra l’arme e fra gli inganni
de la terra e del mar vi scorse e resse,
sì c’habbiam tante e tante in sì poch’anni
ribellanti provincie a lui sommesse,
e fra le genti debellate e dome
stese l’insegne sue vittrici e ’l nome,
22
già non lasciammo i dolci pegni e ’l nido
nativo noi (se ’l creder mio non erra),
né la vita esponemmo al mare infido
et a i perigli di lontana guerra,
per acquistar di breve suono un grido
vulgare e posseder barbara terra:
ché proposto ci havremmo angusto e scarso
premio, e in danno de l’alme il sangue sparso.
23
Ma fu de’ pensier nostri ultimo segno
espugnar di Sion le nobil mura,
e sottrarre i Christiani al giogo indegno
di servitù così spiacente e dura,
fondando in Palestina un novo regno,
ov’habbia la pietà sede secura,
né sia chi neghi al peregrin devoto
d’adorar la gran Tomba e sciorre il voto.
24
Dunque il fatto sin hora al rischio è molto,
più che molto al travaglio, a l’honor poco,
nulla al disegno, ove o si fermi o volto
sia l’impeto de l’armi in altro loco.
Che gioverà l’haver d’Europa accolto
sì grande sforzo e posto in Asia il foco,
quando sian poi di tanti moti il fine
non fabriche di regni, ma ruine?
25
Non edifica quei che vuol gli imperi
su fondamenti fabricar mondani,
ov’ha pochi di patria e fé stranieri
fra gl’infiniti popoli pagani,
ove ne’ Greci non convien che speri,
e i favor d’Occidente ha sì lontani;
ma ben move ruine, ond’egli oppresso
sol costrutto un sepolcro habbia a se stesso.
26
Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono
e di nomi magnifico e di cose)
opre nostre non già, ma del Ciel dono
furo, e vittorie fur maravigliose.
Hor se da noi rivolte e torte sono
contra quel fin che ’l donator dispose
temo ce ’n privi, e favola a le genti
quel sì chiaro rimbombo al fin diventi.
27
Ah non sia alcun, per Dio, che sì graditi
doni in uso sì reo perda e diffonda.
A quei che sono alti principij orditi
di tutta l’opra il filo e ’l fin risponda.
Hora che i passi liberi e spediti,
hora che la stagione habbiam seconda,
ché non corriamo a la città ch’è mèta
d’ogni nostra vittoria? E che più ’l vieta?
28
Principi, io vi protesto (i miei protesti
udrà il mondo presente, udrà il futuro,
l’odono hor su nel Cielo anco i Celesti):
il tempo de l’impresa è già maturo.
Men diviene opportun più che si resti,
incertissimo fia quel ch’è securo.
Presago son, s’è lento il nostro corso,
havrà d’Egitto il Palestin soccorso. –
29
Disse, e i detti seguì breve bisbiglio.
Ma sorse poscia il solitario Piero,
che privato fra’ Principi a consiglio
sedea, del gran passaggio autor primiero.
– Ciò ch’essorta Goffredo, et io consiglio,
né loco a dubbio v’ha, sì certo è il vero
e per sé noto. Ei dimostrollo a lungo,
voi l’approvate, io questo sol v’aggiungo.
30
Se ben raccolgo le discordie e l’onte,
quasi a prova da voi fatte e patite,
i ritrosi pareri e le non pronte
e in mezo a l’esseguire opre impedite,
reco ad un’alta originaria fonte
la cagion d’ogni indugio e d’ogni lite:
a quell’autorità che in molti e vari
d’opinion, quasi librata, è pari.
31
Ove un sol non impera, onde i giudici
pendano poi de’ premi e de le pene,
onde sian compartiti opre et offici,
ivi errante il governo esser conviene.
Deh, fate un corpo sol di membri amici,
fate un capo che gli altri indrizzi e frene:
date ad un sol lo scettro e la possanza,
e sostenga di Re vece e sembianza. –
32
Qui tacque il veglio. Hor quai pensier, quai petti
son chiusi a te, sant’Aura e divo Ardore?
Inspiri tu de l’Eremita i detti,
e tu gli imprimi a i Cavalier nel core;
sgombri gli inserti, anzi gli innati affetti
di sovrastar, di libertà, d’honore,
sì che Guglielmo e Guelfo, i più sublimi,
chiamar Goffredo per lor Duce i primi.
33
L’approvar gli altri: esser sue parti denno
deliberare e comandare altrui.
Imponga ai vinti legge egli a suo senno,
porti la guerra e quando vole e cui.
Gli altri, già pari, obedienti al cenno
siano hor ministri de gli imperij sui.
Concluso ciò, fama ne vola e grande
per le lingue de gli uomini si spande.
34
Ei si mostra a i soldati, e ben lor pare
degno de l’alto grado ove l’han posto;
e riceve i saluti e ’l militare
applauso in volto placido e composto.
Poi ch’a le dimostranze humili e care
d’amor, d’obedienza hebbe risposto,
impon che ’l dì seguente in un gran campo
tutto si mostri a lui schierato il campo.
35
Facea ne l’Oriente il Sol ritorno,
sereno e luminoso oltre l’usato,
quando co’ raggi uscì del novo giorno
sotto l’insegne ogni guerriero armato:
e si mostrò quanto poté più adorno
al pio Buglion, girando il largo prato.
S’era egli fermo, e si vedea davanti
passar distinti i Cavalieri e i fanti.
36
Mente, de gli anni e de l’oblio nemica,
de le cose custode e dispensiera,
vagliami tua virtù, sì ch’io ridica
di quel campo ogni Duce et ogni schiera.
Suoni e risplenda la lor fama antica,
fatta da gli anni homai tacita e nera.
Tolto da’ tuoi tesori, orni mia lingua
ciò ch’ascolti ogni età, nulla l’estingua.
37
Prima i Franchi mostrarsi. Il duce loro
Ugone esser solea, del Re fratello.
Ne l’Isola di Francia eletti foro,
fra quattro fiumi, ampio paese e bello.
Poscia ch’Ugon morì, de’ gigli d’oro
seguì l’usata insegna il fier drappello
sotto Clotareo, capitano egregio,
a cui se nulla manca è il sangue regio.
38
Mille son di gravissima armatura,
sono altretanti i Cavalier seguenti:
di disciplina a i primi, e di natura
e d’arme e di sembianza indifferenti;
normandi tutti, e gli ha Roberto in cura,
che Principe nativo è de le genti.
Poi duo Pastor di popoli spiegaro
le squadre lor, Guglielmo et Ademaro.
39
L’uno e l’altro di lor, che ne’ divini
offitij già trattò pio ministero,
sotto l’elmo premendo i lunghi crini,
essercita de l’arme hor l’uso fero.
Da la città d’Orange e da i confini
quattrocento guerrier scelse il primiero;
ma guida quei di Poggio in guerra l’altro
numero egual, né men ne l’arme scaltro.
40
Balduin poscia in mostra addur si vede
co’ Bolognesi suoi quei del germano:
ché le sue genti il pio fratel gli cede
hor ch’ei de’ Capitani è Capitano.
Il conte de’ Carnuti indi succede,
potente di consiglio e pro’ di mano.
Van con lui quattrocento, e triplicati
conduce Balduino in sella armati.
41
Occupa Guelfo il campo a lor vicino,
huom ch’a l’alta Fortuna agguaglia il merto.
Conta costui per genitor latino
de gli avi Estensi un lungo ordine e certo,
ma German di cognome e di domino,
ne la gran casa de’ Guelfoni è inserto:
regge Carinthia, e presso l’Istro e ’l Reno
ciò che i prischi Suevi e i Reti havieno.
42
A questo, che retaggio era materno,
acquisti ei giunse gloriosi e grandi.
Quindi gente trahea che prende a scherno
d’andar contra la morte ov’ei commandi:
usa a temprar ne’ caldi alberghi il verno,
e celebrar con lieti inviti i prandi.
Fur cinque mila a la partenza: a pena
(de’ Persi avanzo) il terzo hor qui ne mena.
43
Seguia la gente poi candida e bionda
che tra i Franchi e i Germani e ’l mar si giace,
ove la Mosa et ove il Reno inonda,
terra di biade e d’animai ferace.
E gli Insulani lor, che d’alta sponda
riparo fansi a l’Ocean vorace,
l’Ocean che non pur le merci e i legni,
ma intiere inghiotte le cittadi e i regni.
44
Gli uni e gli altri son mille, e tutti vanno
sotto un altro Roberto insieme a stuolo.
Maggiore alquanto è lo squadron Britanno:
Guglielmo il regge, al Re minor figliuolo.
Son gli Inghilesi sagittari, et hanno
gente con lor ch’è più vicina al polo:
questi da l’alte selve irsuti manda
la divisa dal mondo ultima Irlanda.
45
Vien poi Tancredi: e non è alcun fra tanti
(tranne Rinaldo) o feritor maggiore,
o più bel di maniere e di sembianti,
o più eccelso et intrepido di core.
S’alcuna ombra di colpa i suoi gran vanti
rende men chiari, è sol follia d’Amore:
nato fra l’arme Amor di breve vista,
che si nutre d’affanni e forza acquista.
46
È fama che quel dì che glorioso
fe’ la rotta de’ Persi al popol Franco,
poi che Tancredi al fin vittorioso
i fuggitivi di seguir fu stanco,
cercò di refrigerio e di riposo
a l’arse labra, al travagliato fianco,
e trasse ove invitollo al rezo estivo
cinto di verdi seggi un fonte vivo.
47
Quivi a lui d’improviso una Donzella
tutta, fuor che la fronte, armata apparse.
Era pagana, e là venuta anch’ella
per l’istessa cagion di ristorarse.
Egli mirolla et ammirò la bella
sembianza, e d’essa si compiacque, e n’arse.
O maraviglia: Amor, ch’a pena è nato,
già grande vola, e già trionfa armato.
48
Ella d’elmo coprissi, e se non era
ch’altri quivi arrivar ben l’assaliva.
Partì dal vinto suo la Donna altera,
ch’è per necessità sol fuggitiva,
ma l’imagine sua bella e guerriera
tale ei serbò nel cor qual essa è viva;
e sempre ha nel pensiero e l’atto e ’l loco
in che la vide, esca continua al foco.
49
E ben nel volto suo la gente accorta
legger potria: ‘Questi arde, e fuor di spene’:
così vien sospiroso, e così porta
basse le ciglia e di mestitia piene.
Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta,
lasciar le piaggie di Campania amene,
pompa maggior de la Natura, e i colli
che vagheggia il Tirren fertili e molli.
50
Venian dietro ducento in Grecia nati,
che son quasi di ferro in tutto scarchi:
pendon spade ritorte a l’un de’ lati,
suonano al tergo lor faretre et archi;
asciutti hanno i cavalli, al corso usati,
a la fatica invitti, al cibo parchi;
ne l’assalir son pronti e nel ritrarsi,
e combatton fuggendo erranti e sparsi.
51
Tatin regge la schiera, e sol fu questi
che Greco accompagnò l’armi latine.
O vergogna, o misfatto, hor non havesti
tu, Grecia, quelle guerre a te vicine?
E pur quasi a spettacolo sedesti,
lenta aspettando de’ grand’atti il fine.
Hor se tu sei vil serva è il tuo servaggio,
non ti lagnar, giustitia e non oltraggio.
52
Squadra d’ordine estrema ecco vien poi,
ma d’honor prima e di valore e d’arte.
Son qui gli aventurieri, invitti Heroi,
terror de l’Asia e folgori di Marte.
Taccia Argo i Mini, e taccia Artù que’ suoi
erranti, che di sogni empion le carte:
ch’ogni antica memoria appo costoro
perde. Hor qual Duce fia degno di loro?
53
Dudon di Consa è il Duce. E perché duro
fu il giudicar di sangue e di virtute,
gli altri sopporsi a lui concordi furo,
c’havea più cose fatte e più vedute.
Ei di virilità grave e maturo,
mostra in fresco vigor chiome canute;
mostra, quasi d’honor vestigi degni,
di non brutte ferite impressi i segni.
54
Eustatio è poi fra’ primi, e i propri pregi
illustre il fanno, e più il fratel Buglione.
Gernando v’è, nato de’ Re Norvegi,
che scettri vanta e titoli e corone.
Ruggier di Balnavilla infra gli egregi
la vecchia fama et Engerlan ripone.
E celebrati son fra’ più gagliardi
un Gentonio, un Rambaldo e duo Gherardi.
55
Son fra’ lodati Ubaldo anco, e Rosmondo
del gran Ducato di Lincastro herede.
Non fia ch’Obizo il Tosco aggravi al fondo
chi fa de le memorie avare prede,
né i tre frati lombardi al chiaro mondo
involi, Achille e Sforza e Palamede,
o ’l forte Otton, che conquistò lo scudo
in cui da l’angue esce il fanciullo ignudo.
56
Né Guasco né Ridolfo a dietro lasso,
né l’uno e l’altro Guido, ambo famosi,
non Eberardo e non Gernier trapasso
sotto silentio ingratamente ascosi.
Ove voi me, di numerar già lasso,
Gildippe et Odoardo, amanti e sposi,
rapite? O ne la guerra anco consorti,
non sarete disgiunti ancor che morti.
57
Ne le scole d’Amor che non s’apprende?
Ivi si fe’ costei guerriera ardita:
va sempre affissa al caro fianco, e pende
da un fato solo e l’una e l’altra vita.
Colpo ch’ad un sol noccia unqua non scende,
ma indiviso è il dolor d’ogni ferita:
e spesso è l’un ferito e l’altro langue,
e versa l’alma quei se questa il sangue.
58
Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi
e sovra quanti in mostra eran condutti,
dolcemente feroce alzar vedresti
la regal fronte, e in lui mirar sol tutti.
L’età precorse e la speranza, e presti
pareano i fior quando n’usciro i frutti.
Se ’l miri fulminar ne l’arme avolto
Marte lo stimi; Amor se scopre il volto.
59
Lui ne la riva d’Adige produsse
a Bertoldo Sofia, Sofia la bella
a Bertoldo il possente; e pria che fusse
tolto quasi il bambin da la mammella,
Matilda il volse, e nutricollo e instrusse
ne l’arti regie; e sempre ei fu con ella,
sin ch’invaghì la giovenetta mente
la Tromba che s’udia da l’oriente.
60
All’hor, né pur tre lustri havea forniti,
fuggì soletto e corse strade ignote;
varcò l’Egeo, passò di Grecia i liti,
giunse nel campo in region remote.
Nobilissima fuga, e che l’imiti
ben degna alcun magnanimo Nipote.
Tre anni son ch’è in guerra, e intempestiva
molle piuma del mento a pena usciva.
61
Passati i Cavalieri, in mostra viene
la gente a piede, et è Raimondo inanti.
Reggea Tolosa, e scelse infra Pirene
e fra Garonna e l’Ocean suoi fanti.
Son quattro mila, e ben armati e bene
instrutti, usi al disagio e toleranti.
Buona è la gente, e non può da più dotta
o da più forte guida esser condotta.
62
Ma cinque mila Stefano d’Ambuosa
e di Blesse e di Torsi in guerra adduce.
Non è gente robusta o faticosa,
se ben tutta di ferro ella riluce.
La terra molle, e lieta e dilettosa,
simili a sé gli habitator produce.
Impeto fan ne le battaglie prime,
ma di leggier poi langue e si reprime.
63
Alcasto il terzo vien, qual presso a Tebe
già Capaneo, con minaccioso volto.
Sei mila Elvetij, audace e fiera plebe,
da gli alpini castelli havea raccolto,
che ’l ferro uso a far solchi e franger glebe,
in nove forme e in più degne opre ha volto:
e con la man che guardò rozi armenti
par che i Regni sfidar nulla paventi.
64
Vedi appresso spiegar l’alto vessillo
co ’l diadema di Piero e con le chiavi.
Qui sette mila aduna il buon Camillo
pedoni, d’arme rilucenti e gravi,
lieto ch’a tanta impresa il Ciel sortillo,
ove rinovi il prisco honor de gli avi,
o mostri almen ch’a la virtù latina
o nulla manca, o sol la disciplina.
65
Ma già tutte le squadre eran con bella
mostra passate, e l’ultima fu questa,
quando Goffredo i minor duci appella,
e la sua mente a lor fa manifesta.
– Come appaia diman l’Alba novella
vuo’ che l’oste s’invij leggiera e presta,
sì ch’ella giunga a la Città sacrata,
quanto è possibil più, meno aspettata.
66
Preparatevi dunque et al viaggio
et a la pugna e a la vittoria ancora. –
Questo ardito parlar d’huom così saggio
sollecita ciascuno e l’avvalora.
Tutti d’andar son pronti al novo raggio,
e impatienti in aspettar l’Aurora.
Ma ’l provido Buglion senza ogni tema
non è però, benché nel cor la prema.
67
Perch’egli havea certe novelle intese
che s’è d’Egitto il Re già posto in via
in verso Gaza, bello e forte arnese
da fronteggiar i regni di Soria.
Né creder può che l’huomo a fere imprese
avvezzo sempre, hor lento in otio stia;
ma, d’haverlo aspettando aspro nemico,
parla al fedel suo messaggiero Henrico:
68
– Sovra una lieta saettia tragitto
vuo’ che tu faccia ne la Greca terra.
Ivi giunger devea (così m’ha scritto
chi mai per uso in avisar non erra)
un giovene regal, d’animo invitto,
ch’a farsi vien nostro Compagno in guerra:
Prenze è de’ Dani, e mena un grande stuolo
sin da i paesi sottoposti al polo.
69
Ma perché ’l Greco imperator fallace
seco forse userà le solite arti,
per far ch’o torni indietro o ’l corso audace
torca in altre da noi lontane parti,
tu, Nuntio mio, tu consiglier verace,
in mio nome il disponi a ciò che parti
nostro e suo bene, e di’ che tosto vegna,
ché di lui fòra ogni tardanza indegna.
70
Non venir seco tu, ma resta appresso
al Re de’ Greci a procurar l’aiuto,
che già più d’una volta a noi promesso
è per ragion di patto anco dovuto. –
Così parla e l’informa, e poi che ’l messo
le lettre ha di credenza e di saluto,
toglie affrettando il suo partir congedo,
e tregua fa co’ suoi pensier Goffredo.
71
Il dì seguente, all’hor ch’aperte sono
del lucido Oriente al Sol le porte,
di trombe udissi e di tamburi un suono,
onde al camino ogni guerrier s’essorte.
Non è sì grato a i caldi giorni il tuono,
che speranza di pioggia al mondo apporte,
come fu caro a le feroci genti
l’altero suon de’ bellici instrumenti.
72
Tosto ciascun, da gran desio compunto,
veste le membra de l’usate spoglie,
e tosto appar di tutte l’arme in punto,
tosto sotto i suoi duci ogn’un s’accoglie.
E l’ordinato essercito congiunto
tutte le sue bandiere al vento scioglie.
E nel vessillo imperiale e grande
la trionfante Croce al Ciel si spande.
73
Intanto il Sol, che de’ celesti campi
va più sempre avanzando e in alto ascende,
l’armi percote e ne trahe fiamme e lampi
tremuli e chiari, onde le viste offende.
L’aria par di faville intorno avampi,
e quasi d’alto incendio in forma splende,
e co’ fieri nitriti il suono accorda
del ferro scosso e le campagne assorda.
74
Il Capitan, che da’ nemici aguati
le schiere sue d’assecurar desia,
molti a cavallo leggiermente armati
a scoprire il paese intorno invia.
E inanzi i guastatori havea mandati,
da cui si debbia agevolar la via,
e i voti luoghi empire e spianar gli erti,
e da cui siano i chiusi passi aperti.
75
Non è gente Pagana insieme accolta,
non muro cinto di profonda fossa,
non gran torrente o monte alpestre o folta
selva che ’l lor viaggio arrestar possa.
Così de gli altri fiumi il Re tal volta,
quando superbo oltra misura ingrossa,
sovra le sponde ruinoso scorre,
né cosa è mai che gli s’ardisca opporre.
76
Sol di Tripoli il Re, che ’n ben guardate
mura genti tesori et arme serra,
forse le schiere Franche havria tardate,
ma non osò di provocarle in guerra.
Lor con messi e con doni anco placate
ricettò voluntario entro la terra,
e ricevé condition di pace,
sì come imporle al pio Goffredo piace.
77
Qui dal monte Seir, ch’alto e sovrano
da l’Oriente a la cittade è presso,
gran turba scese de’ fedeli al piano,
d’ogni età mescolata e d’ogni sesso.
Portò suoi doni al vincitor Christiano,
godea di mirarlo e in ragionar con esso.
Stupia de l’arme pellegrine, e guida
hebbe da lor Goffredo amica e fida.
78
Conduce ei sempre a le maritime onde
vicino il campo per diritte strade,
sapendo ben che le propinque sponde
l’amica armata costeggiando rade,
la qual può far che tutto il campo abonde
de’ necessari arnesi, e che le biade
ogni isola de’ Greci a lui sol mieta,
e Scio pietrosa gli vendemmi e Creta.
79
Geme il vicino mar sotto l’incarco
de l’alte navi e de’ più levi pini,
sì che non s’apre homai securo varco
nel mar Mediterraneo a i Saracini:
ch’oltra quei c’ha Georgio armati e Marco
ne’ Vinitiani e Liguri confini,
altri Inghilterra e Francia et altri Olanda,
e la fertil Sicilia altri ne manda.
80
E questi, che son tutti insieme uniti
con saldissimi lacci in un volere,
s’eran carchi e provisti in vari liti
di ciò ch’è d’huopo a le terrestri schiere.
Le quai, trovando liberi e sforniti
i passi de’ nemici a le frontiere,
in corso velocissimo se ’n vanno
là ’ve Christo soffrì mortale affanno.
81
Ma precorsa è la fama, apportatrice
de’ veraci romori e de’ bugiardi,
ch’unito è il campo vincitor, felice,
che già s’è mosso e che non è chi ’l tardi.
Quante e quai sian le squadre ella ridice,
narra il nome e ’l valor de’ più gagliardi,
narra i lor vanti, e con terribil faccia
gli usurpatori di Sion minaccia.
82
E l’aspettar del male è mal peggiore,
forse che non parrebbe il mal presente.
Pende ad ogni aura incerta di romore
ogni orecchia sospesa et ogni mente;
e un confuso bisbiglio entro e di fuore
trascorre i campi e la città dolente.
Ma il vecchio Re ne’ già vicin perigli
volge nel dubbio cor feri consigli.
83
Aladin detto è il Re, che di quel regno
novo signor vive in continua cura:
huom già crudel, ma il suo feroce ingegno
pur mitigato havea l’età matura.
Egli, che de’ Latini udì il disegno
c’han d’assalir di sua Città le mura,
giunse al vecchio timor novi sospetti,
e de’ nemici pave e de’ soggetti.
84
Però che dentro a una città commisto
popolo alberga di contraria fede.
La debil parte e la minore in Christo,
la grande e forte in Macometto crede.
Ma quando il Re fe’ di Sion l’acquisto,
e vi cercò di stabilir la sede,
scemò i publici pesi a i suoi Pagani,
ma più gravonne i miseri Christiani.
85
Questo pensier la ferità nativa,
che da gli anni sopita e fredda langue,
irritando inasprisce e la ravviva
sì ch’assetata è più che mai di sangue.
Tal fero torna a la stagione estiva
quel che parve nel gel piacevol angue;
così leon domestico riprende
l’innato suo furor s’altri l’offende.
86
– Veggio – dicea – de la letitia nova
veraci segni in questa turba infida.
Il danno universal solo a lei giova,
sol nel pianto commun par ch’ella rida.
E forse insidie e tradimenti hor cova,
rivolgendo fra sé come m’uccida,
o come al mio nemico e suo consorte
popolo occultamente apra le porte.
87
Ma no ’l farà: prevenirò questi empi
disegni loro, e sfogherommi a pieno.
Gli ucciderò: faronne acerbi scempi,
svenerò i figli a le lor madri in seno.
Arderò lor alberghi e insieme i Tempi,
questi i debiti roghi a i morti fieno.
E su quel lor sepolcro in mezo a i voti
vittime pria farò de’ sacerdoti. –
88
Così l’iniquo fra suo cor ragiona,
pur non segue pensier sì mal concetto.
Ma, s’a quegli innocenti egli perdona,
è di viltà non di pietade effetto.
Ché s’un timor a incrudelir lo sprona,
il ritien più potente altro sospetto.
Troncar le vie d’accordo, e de’ nemici
troppo teme irritar l’arme vittrici.
89
Tempra dunque il fellon la rabbia insana,
anzi altrove pur cerca ove la sfoghi.
I rustici edifici abbatte, ispiana
e dà in preda a le fiamme i culti luoghi.
Parte alcuna non lascia integra o sana
ove il Franco si pasca, ove s’alluoghi.
Turba le fonti e i rivi, e le pure onde
di veneni mortiferi confonde.
90
Spietatamente è cauto, e non oblia
di rinforzar Gierusalem fra tanto.
Da tre lati fortissima era pria,
sol verso Borea è men secura alquanto.
Ma da’ primi sospetti ei le munia
d’alti ripari il suo men forte canto:
e v’accogliea gran quantitade in fretta
di gente mercenaria e di soggetta.